Il mantenimento dell’ex coniuge ed una concezione misogina della realtà

Arthur Schopenhauer ne “L’Arte di trattare le donne” teorizzava come tutte le donne, con rare eccezioni, sono inclini allo sperpero.

Addirittura il celeberrimo Fedro, vissuto a Roma nell’epoca augustea, in una sua famosa favola tratteggiava la donna in termini palesemente misogini e maschilisti:

Gli uomini, siano essi amanti o amati, sono comunque spogliati dalle donne; lo impariamo proprio dagli esempi.

Una donna non inesperta, capace di nascondere gli anni con raffinati artifici, teneva legato a sé un tale di mezza età, ma il cuore dello stesso uomo lo aveva conquistato una bella ragazza. Tutte e due le donne, volendo sembrare sue coetanee, si misero, ora l’una ora l’altra, a spiluccare all’uomo i capelli. Lui, credendo di essere bene acconciato da tutta quella cura femminile, all’improvviso si trovò calvo; la ragazza gli aveva strappato dalle radici i capelli bianchi, la vecchia i neri.

Il rapporto presuntivamente “morboso” ed insano tra la donna ed il danaro viene replicato anche in molte opere d’arte.

Una tela del 1563 realizzata da  Tiziano ed oggi custodita al museo del Prado di Madrid, ripercorre in modo sagace il mito di Danae, rinchiusa da Acrisio, re della città di Argo, in una cella isolata per evitare che dalla donna nascesse colui che, secondo una profezia, avrebbe destituito il sovrano.

Zeus ovviamente non trovò ostacoli per ottenere le grazie della donna nonostante la prigionia, trasformando se stesso in una pioggia d’oro.

Nell’opera di Tiziano è interessante vedere accanto alla splendida Danae, che accoglie la pioggia divina con nessuna ritrosia, anzi con femminea benevolenza, una servitrice attempata, che viene accecata dallo splendore dell’oro disceso dal cielo e prontamente allarga un capiente contenitore di panno, al fine di recuperare la ricchezza inaspettata.

Non manca ovviamente un richiamo malizioso da parte dell’artista alla natura accaparratrice e bramosa di ricchezze, presuntivamente propria del genere femminile.

Tiziano Prado

Gli esempi potrebbero replicarsi in modo plurimo.

Non sta a chi scrive dar giudizi su queste teorie che hanno comunque orientato decenni di socialità e di rapporti interpersonali tra uomo e donna.

Fatto sta che ancora oggi, soprattutto nel contesto matrimoniale e ancor più allorquando il matrimonio entra in crisi, la figura della donna spesso viene (mal) interpretata, con un infondato pregiudizio, come colei che vuole approfittarsi in modo indebito dei beni del marito, al fine di acquisire il maggior tornaconto economico possibile.

Certo, esistono e saranno sempre presenti tra le aule di giustizia vicende singolari di mogli poco avvedute nel gestire il danaro della famiglia.

La Cassazione, con una Sentenza pronunciata dalla Prima Sezione Civile in data 18 novembre 2013 e rubricata al numero 25843, divenuta subito molto famosa, evidenziò che “una patologia attinente all’uso incontrollato del denaro per effettuare ossessivamente acquisto di beni mobili”, quale quella riscontrata in capo alla donna verso cui si chiedeva la separazione da parte di un marito esasperato, potesse legittimare la pronuncia di addebito richiesta dall’uomo.

Tuttavia, generalizzazioni tese ad individuare nel genere femminile impulsi verso lo sperpero di danaro ed una voluttuosa brama di ricchezza, non possono certo entrare nel mondo del diritto.

Nè una linea difensiva di un uomo all’interno di un processo di separazione o di divorzio, volta a sollevare critiche ingiustificate sulle capacità economiche dell’ex coniuge, potrebbe mai risultare vincente, cadendo anzi nel rischio del ridicolo, come cadde senz’altro la favola di Fedro.

E’ per questo che linee difensive portate avanti in favore di un marito che chieda la cancellazione dell’assegno di mantenimento verso la moglie, debbono esser sempre sorrette su basi di oggettività e di rigore, non scadendo mai verso la perniciosa illazione.

Un esempio di una posizione fallimentare assunta da un marito in sede di procedimento di divorzio si è avuto lo scorso 19 febbraio 2021, allorquando la Prima Sezione Civile della Cassazione, con Ordinanza numero 4494, ha integralmente rigettato la richiesta di un uomo, volta ad ottenere la cancellazione dell’assegno a suo carico, giudizialmente previsto per l’ex moglie, sia in primo sia in secondo grado.

Invero, la Corte di Appello di Caltanissetta aveva confermato la decisione del Tribunale che, pronunciando la cessazione degli effetti civili del matrimonio, aveva affidato congiuntamente ai coniugi la figlia minore, con domiciliazione della stessa presso la madre, cui veniva assegnata la casa coniugale, con obbligo per il marito di corrispondere all’ex moglie la somma di euro 300,00 a titolo di assegno di divorzio, e di euro 450,00 a titolo di contributo per il mantenimento della figlia, oltre la metà delle spese straordinarie.

Il marito ricorrente in Cassazione obiettava che i giudici di appello non avrebbero tenuto in debito conto il tenore di vita goduto da i coniugi durante il rapporto matrimoniale, essendo l’uomo impiegato come operaio, con un reddito di euro 1.400,00 e proprietario di unico immobile, acquistato prima del matrimonio, adibito a casa coniugale ed assegnato alla moglie; lamentava inoltre il marito che non si sarebbe pervenuti ad una adeguata valutazione delle capacità della donna di trovare un lavoro, dovendo peraltro considerare anche il vantaggio economico derivante al coniuge assegnatario della casa coniugale e della scelta, assunta di comune accordo dai coniugi, di far frequentare una scuola privata alla figlia, essendosi addossato l’onere esclusivamente sul padre.

I Supremi Giudici richiamano una volta di più la famosissima Sentenza “Grilli” numero 18287 del 2018 delle Sezioni Unite, che costituisce un punto di snodo in tema di assegno divorzile.

Rammentiamo brevemente a noi stessi che l’art. 5 comma 6 della Legge n. 898/1970 inquadra l’assegno di divorzio con una funzione assistenziale e in pari misura compensativa e perequativa, richiedendo l’accertamento dell’inadeguatezza dei mezzi dell’ex coniuge possibile beneficiario e dell’impossibilità di procurarseli per ragioni obiettive.

Inoltre il dettato legislativo richiede che per una compiuta valutazione giudiziale, occorra tener conto delle condizioni dei coniugi, delle ragioni della decisione, del contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune, del reddito di entrambi, e valutati tutti i suddetti elementi anche in rapporto alla durata del matrimonio.

Tali coordinate debbono convivere con un principio costituzionale di “solidarietà”, che impone l’identificazione di un contributo periodico volto a consentire al coniuge beneficiario non il conseguimento dell’autosufficienza economica sulla base di un parametro astratto, ma il raggiungimento in concreto di un livello reddituale adeguato al contributo fornito nella realizzazione della vita familiare, in particolare tenendo conto delle aspettative professionali sacrificate.

Certo la funzione equilibratrice dell’assegno divorzile non è finalizzata alla ricostituzione del tenore di vita goduto dai coniugi in costanza di matrimonio, ma mira al riconoscimento del ruolo e del contributo fornito dall’ex coniuge economicamente più debole alla formazione del patrimonio della famiglia e di quello personale degli ex coniugi stessi.

Ebbene, nel caso deciso qualche giorno fa dalla Suprema Corte veniva verificata la piena valorizzazione dei suddetti principi, avendo i giudici di merito accertato la disparità reddituale emergente dalle dichiarazioni dei redditi.

A tale quadro andavano aggiunti lo stato attuale di disoccupazione dell’ex moglie, la durata non breve del matrimonio e, soprattutto, difficoltà oggettive nel trovare un nuovo lavoro per la donna, attese le condizioni personali della stessa valutate durante l’istruttoria e costituenti indagine di fatto preclusa in sede di legittimità.

Ribadisce da ultimo la Cassazione che l’assegnazione della casa coniugale di proprietà del marito non va considerata una “maggior ricchezza” per la donna, ma solo una determinazione conseguenziale alla circostanza che la stessa è genitore collocatario della figlia minore.

In conclusione, nessuno spazio per la richiesta di cancellazione o, quanto meno, diminuzione, dell’assegno divorzile.

Un secondo solo ….…     

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