Non è raro che i figli vengano accusati di dilapidare in modo irriconoscente i patrimoni dei loro padri.
Un esempio molto famoso è accaduto ai beni del grande Elvis Presley (in copertina riprodotto nel celeberrimo “Triple Elvis” di Andy Warhol datato 1963 e custodito nel MOMA di San Francisco).
Lisa Marie, figlia del compianto “Re del rock and roll“, come hanno riportato i più grandi giornali ha avviato una controversia giudiziale contro il proprio manager, a dire della donna perché quest’ultimo avrebbe male amministrato le finanze di famiglia, ma a dire del manager per “coprire” una vita assolutamente prodiga e non avveduta da parte della stessa Lisa Marie, la quale di fatto aveva azzerato le ricchezze accantonate durante la vita dal grande Elvis.
Un timore, quello che i figli possano “sperperare” i beni familiari, che ad onor del vero riecheggia spesso tra le quattro mura degli studi legali, quando padri impauriti confessano al proprio avvocato di cercare una strategia difensiva utile a frenare le sempre più copiose somme dovute mensilmente per il mantenimento dei figli, a loro dire vere e proprie “voragini” in termini di oneri economici da sostenere.
Non è certo questo il caso della vicenda definita lo scorso 24 febbraio 2021 dalla Suprema Corte.
Con Ordinanza rubricata al numero 5059 della Sezione Prima Civile e già oggetto di autorevoli commenti, i Giudici di Piazza Cavour hanno trattato il caso di un padre obbligato a versare, nelle mani della moglie, per il mantenimento dei due figli minori, la somma di euro 440, oltre alle spese di iscrizione scolastica ed alle spese mediche nella misura del 50%.
L’uomo si opponeva alla pretesa dell’ex moglie, che otteneva un decreto ingiuntivo basato proprio sulle spese straordinarie, dovute per la scuola (un istituto privato) e le esigenze mediche dei figli (cure svolte anch’esse presso una clinica privata).
Deduceva il ricorrente che sarebbe stata la moglie, parte opposta nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo e quindi attrice in senso sostanziale, a dover dimostrare la sussistenza delle condizioni che rendevano le spese di istruzione e di assistenza medica privata rimborsabili per ragioni di “necessità e urgenza”, in difetto di preventiva concertazione dei genitori.
I Supremi Giudici non condividevano la tesi sottoposta alla loro attenzione, prima di tutto perchè il credito si fondava su un provvedimento giurisdizionale che non subordinava l’obbligo di contribuzione da parte del genitore non collocatario a requisiti particolari come l’urgenza, la necessità o la non eccessiva onerosità della spesa.
Inoltre veniva ribadito il principio secondo cui non è configurabile a carico del coniuge affidatario un obbligo di informazione e di concertazione preventiva con l’altro, in ordine alla determinazione delle spese straordinarie, sussistendo a carico del coniuge non affidatario un obbligo di rimborso qualora non abbia tempestivamente addotto validi motivi di dissenso.
Inoltre, nel caso di mancata concertazione preventiva e di rifiuto di provvedere al rimborso della quota di spettanza da parte del coniuge che non ha sostenuto le spese, la valutazione dell’esistenza in concreto dei motivi di dissenso spetta al giudice di merito, il quale è tenuto a verificare la rispondenza delle spese all’interesse del minore, mediante una valutazione improntata alla commisurazione dell’entità delle stesse rispetto all’utilità per il figlio ed alla sostenibilità in relazione alle condizioni economiche dei genitori.
Ebbene, nel caso di specie la Corte d’Appello aveva senz’altro argomentato in ordine all’effettività delle spese sostenute dalla ex moglie per i figli, censurando come infondate le ragioni di dissenso opposte dall’ex marito, rispetto alle decisioni di iscrivere i figli a scuole private e di sottoporli a visite mediche private, tenendo conto sia delle abitudini precedenti della famiglia e dei genitori nell’educazione dei figli, sia dell’agiato tenore di vita della famiglia (che è parametro previsto dall’articolo 337 ter comma IV n. 2 del codice civile).
Ciò consente di ritenere che l’uomo, sebbene dissenziente, non fosse stato affatto “estraneo” alle decisioni prese per le spese dei figli.