Compravendita immobiliare: il termine per il contratto definitivo non è sempre “essenziale”

Il contratto preliminare di compravendita è un vero e proprio accordo con il quale le parti si obbligano, l’una nei confronti dell’altra, alla stipula di un successivo contratto definitivo, i cui contenuti vengono già predeterminati, per la gran parte delle clausole, all’interno dello stesso contratto preliminare.

All’interno del preliminare le parti si danno un termine entro il quale pervenire al contratto definitivo.

La natura di questo termine è stata oggetto di numerosi approfondimenti giurisprudenziali.

Va evidenziato che per la Cassazione il termine stabilito per la stipulazione del contratto definitivo non costituisce normalmente un termine essenziale, il cui mancato rispetto legittima la dichiarazione di scioglimento del contratto (si vedano, tra le tante, le Sentenze n. 3645/2007 e n. 22454/2014).

Tale termine può ritenersi essenziale, ai sensi dell’art.1457 del codice civile, soltanto all’esito di un’istruttoria giudiziale di merito: in tal senso, il magistrato dovrà verificare le specifiche espressioni inserite all’interno del preliminare dalle parti contraenti e, soprattutto, la natura e l’oggetto del contratto.

Solo nel momento in cui risulti inequivocabilmente la volontà delle parti di considerare oramai perduta l’utilità economica del contratto con l’inutile decorso del termine, allora si potrà qualificare il termine come essenziale.

Si pensi ad un esempio in concreto: nel caso degli immobili ancora da costruire,  la parte acquirente versa una cospicua parte del prezzo di acquisto al momento della stipula del preliminare con la società costruttrice. Il rischio per il compratore è quello di non entrare nel possesso dell’immobile a causa di una crisi dell’impresa, o anche di essere soggetto a rivendicazioni giudiziarie da parte di eventuali terzi creditori, nei confronti dei quali l’impresa costruttrice abbia contratto debiti prima dell’alienazione immobiliare.

Ebbene, in questi casi il Decreto Legislativo n. 122/2005 prevede che l’impresa venditrice presti una fideiussione a garanzia del pagamento dell’anticipo del prezzo di vendita già effettuato dalla parte acquirente in sede di stipula del preliminare.

In questo caso, il termine per il definitivo può esser ritenuto essenziale, in quanto al di là di suddetto termine la fideiussione non è più dovuta.

Dunque, la questione sulla natura del termine a contrarre è di rilievo assoluto.

Nel caso in cui il termine per il contratto definitivo sia interpretato come essenziale, opera il disposto dell’art. 1457 del codice civile, che così prevede: “Se il termine fissato per la prestazione di una delle parti deve considerarsi essenziale nell’interesse dell’altra, questa, salvo patto o uso contrario, se vuole esigerne l’esecuzione nonostante la scadenza del termine, deve darne notizia all’altra parte entro tre giorni. In mancanza, il contratto s’intende risoluto di diritto anche se non è stata espressamente pattuita la risoluzione”.

Ne discende che lo spirare del termine essenziale per la conclusione del contratto definitivo di compravendita determina la risoluzione di legge del contratto stesso, con efficacia automatica e senza che occorra una pattuizione esplicita in tal senso.

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L’importanza di una risoluzione contrattuale ricade anche sulle problematiche riferite alla caparra eventualmente corrisposta: il decorso del termine essenziale senza che le parti siano pervenute al definitivo determinerebbe la perdita della caparra corrisposta dal promissario acquirente.

Tuttavia, occorre precisare che espressioni quali “entro e non oltre il giorno….” non sono sufficienti per individuare il termine apposto come essenziale.

Occorrerà, come già evidenziato più sopra e come voluto dalla Suprema Corte, un’indagine circa un’oggettiva essenzialità del termine, spirato il quale non sarebbe più utile contrarre.

 

 

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