Gli amanti al “countdown” dopo l’isolamento… ma il coniuge tradito può chiedere i danni anche all’amante?

Non c’è dubbio che le situazioni di tradimento coniugale, ancora “congelate” per i noti vincoli di “lockdown”, riesploderanno in modo prepotente con l’allentamento dei vincoli governativi.

E con esse severe, oltre che giustissime, saranno le reazioni dei coniugi traditi.

L’infedeltà c’è sempre stata nella storia umana.

Una delle storie d’infedeltà più ritratte nei dipinti dei grandi artisti è quella che vede coinvolti gli dèi greci Afrodite, Efesto ed Ares, più confidenzialmente conosciuti dalle “nostre parti” con i nomi di Venere, Vulcano e Marte.

Ebbene Venere, bellissima consorte del vecchio fabbro Vulcano, si innamora dell’aitante e giovane Marte, finendo per consumare il più classico degli adulteri così in voga tra le divinità.

Il dipinto splendido del Tintoretto, eseguito nel 1552 e conservato oggi a Monaco di Baviera, celebra, tra le mura di una bellissima camera da letto in stile rinascimentale, l’incursione di Vulcano sul “luogo del misfatto”; il vecchio dio si avvicina alla moglie Venere e le alza il lenzuolo che cingeva la donna, ritenendo di poter scoprire, nascosto, il giovane amante della splendida dea della bellezza.

Marte invece si era nascosto sotto al letto ed a scoprirlo è il cagnolino.

Vulcano Venere e Marte

Dietro, sornione, dentro la culla, viene ritratto Cupido (Eros), figlio di Venere, che forse già ha capito tutto della vita….

Il mito originario vuole che a scoprire l’adulterio fosse stato il Sole e che Vulcano, una volta scoperti i due amanti, li avesse legati attorno al letto tramite una rete invisibile, al fine di esporre il tradimento a tutti gli altri dèi.

Però questi ultimi, una volta giunti al capezzale, non si esimevano in risate e battute di scherno verso il vecchio “cornuto”.

Vulcano sarà poi convinto a liberare Venere e Marte grazie all’intercessione di Nettuno.

Del dovere di fedeltà all’interno del vincolo matrimoniale si è sempre discusso in giurisprudenza.

Insieme all’assistenza morale e materiale, alla collaborazione nell’interesse della famiglia ed alla coabitazione, la fedeltà costituisce, appunto, uno degli obblighi discendenti dal rapporto di coniugio.

I doveri che derivano dal matrimonio non costituiscono però altrettanti diritti costituzionalmente protetti.

Isolando, tra i vari doveri, quello appunto di fedeltà, la relativa violazione, sebbene possa indubbiamente essere causa di un dispiacere per l’altro coniuge, e possa provocare la disgregazione del nucleo familiare, non è automaticamente risarcibile, ma in quanto l’afflizione superi la soglia della tollerabilità e si traduca, per le sue modalità o per la gravità dello sconvolgimento che provoca nell’altro coniuge, nella violazione di un diritto costituzionalmente protetto, primi tra tutti il diritto alla salute o alla dignità personale ed all’onore.

L’azione risarcitoria può essere promossa anche autonomamente ed a prescindere dal giudizio di addebito della responsabilità della separazione personale.

Il bene giuridico tutelato è diverso considerando, da un lato, la violazione di doveri endo-familiari, dall’altro lato, la violazione di danni alla salute, all’onore, al decoro:

  • nel primo caso ad essere invocate sono le conseguenze giuridiche che l’ordinamento ricollega alla pronuncia di addebito (che si sostanziano nell’esclusione del diritto al mantenimento – con salvezza del solo credito alimentare, ove ne ricorrano i requisiti – e la perdita della qualità di erede riservatario e di erede legittimo, con salvezza del diritto ad un assegno vitalizio in caso di godimento degli alimenti al momento dell’apertura della successione);
  • nel secondo, invece, viene in rilievo il risarcimento del pregiudizio non patrimoniale da lesione di diritti costituzionalmente garantiti.

Soprattutto, l’ordinamento non tutela il bene del mantenimento della integrità della vita familiare fino a prevedere che la sua violazione di per sé possa essere fonte di una responsabilità risarcitoria.

Il dovere di fedeltà non trova il suo corrispondente in un diritto alla fedeltà coniugale costituzionalmente protetto, piuttosto la sua violazione è sanzionabile civilmente quando, per le modalità dei fatti, uno dei coniugi ne riporti un danno alla propria dignità personale, o eventualmente un pregiudizio alla salute.

Ne parlo in questo mio video, riportato sul canale YouTube:

Ma è possibile attribuire una civile responsabilità anche in capo a soggetti esterni al rapporto matrimoniale?

La Cassazione, all’interno della nota sentenza 6598 del 2019 della Sezione Terza, ha avuto modo di trattare la domanda del coniuge tradito, volta ad ottenere un risarcimento del danno non solo nei riguardi dell’altro coniuge adulterino, ma anche dalla persona dell’amante e addirittura dalla società datrice di lavoro del coniuge e dell’amante stesso, in quanto additata come responsabile per non aver vigilato le condotte dei propri dipendenti sul luogo di lavoro.

È ovvio che né l’amante né un datore di lavoro comune a coniuge fedifrago ed amante, possa esser soggetto al rispetto dell’obbligo di fedeltà coniugale derivante dal matrimonio.

Tuttavia, laddove si alleghi che il diritto violato non è quello alla fedeltà coniugale, bensì il diritto alla dignità e all’onore, non può escludersi, in astratto, la configurabilità di una responsabilità a carico dell’amante.

Tale responsabilità, però, potrà essere affermata soltanto se il terzo, con il proprio comportamento ed avuto riguardo alle modalità con cui è stata condotta la relazione extraconiugale, abbia leso o concorso a violare diritti inviolabili – quali la dignità e l’onore- del coniuge tradito (si pensi, per esempio, all’ipotesi in cui l’amante si sia vantato della propria conquista nel comune ambiente di lavoro o ne abbia diffuso le immagini), e purché risulti provato il nesso causale tra tale condotta, dolosa o colposa, ed il danno prodotto.

In caso contrario, il comportamento dell’amante sarebbe inidoneo ad integrare gli estremi del danno ingiusto, costituente presupposto necessario del risarcimento ex art. 2043 c.c., avendo egli semplicemente esercitato il suo diritto, costituzionalmente garantito, alla libera espressione della propria personalità, diritto che può manifestarsi anche nell’intrattenere relazioni interpersonali con persone coniugate; allo stesso modo in cui, sia pure entro i limiti delineati, resta libero di autodeterminarsi ciascun coniuge.

Sia rammentata una pronuncia del Tribunale di Roma molto famosa, ma oramai costituente un retaggio di una concezione sedimentata nella storia, secondo la quale una terza persona che istighi od induca, tramite comportamenti positivi, una persona coniugata a commettere adulterio pone in essere “un illecito aquiliano di induzione all’inadempimento, rilevante, ai fini della responsabilità per danno ingiusto” (cfr. Tribunale di Roma Sentenza 17 dicembre 1988 in Nuova giur. civ. comm., 1989, I, 559, con nota di PALETTO).

Per il Tribunale romano la condotta dell’amante “provocatore” determinerebbe un aumento delle probabilità che si verifichi l’inadempimento dell’obbligo di fedeltà, che pur rappresenta un rischio al quale si espone chiunque convoli a nozze, alterando così, con la sua condotta istigatrice, la normale “alea matrimoniale”.

In tal caso, stando sempre alla nota e risalente sentenza del Tribunale di Roma, dovrebbe “senz’altro configurarsi una responsabilità del terzo che positivamente induca la moglie (o il marito) di altri a non rispettare l’obbligo di fedeltà, rendendo così possibile e facilitando la violazione dell’obbligo stesso”.

In questa sentenza ormai superata da interpretazioni successive, si introduceva la figura dell’induzione all’inadempimento, quale causa di responsabilità aquiliana del terzo; quest’ultimo veniva visto come produttore di un’illecita interferenza nel rapporto matrimoniale, come se il coniuge tradito fosse stato leso in un presunto “diritto di credito” alla fedeltà dell’altro coniuge.

Tuttavia, mai nel rapporto di coniugio può parlarsi di un “diritto di credito” alla fedeltà.

Come detto sopra, l’ordinamento non tutela il bene del mantenimento della integrità della vita familiare fino a prevedere che la sua violazione di per sé possa essere fonte di una responsabilità risarcitoria.

Dunque, appare certo che il nostro ordinamento mai potrà tutelare un coniuge tradito per una domanda risarcitoria rivolta verso l’amante del coniuge fedifrago, per aver dato vita esclusivamente alla lesione del bene “fedeltà” matrimoniale.

Tanto più che il bene “fedeltà” non trova protezione costituzionale.

Trovano invece protezione costituzionale il diritto all’onore, al decoro, alla salute, ed un amante che tramite condotte illecite vada a ledere tali sfere in capo al soggetto leso, senz’altro verrebbe civilmente sanzionato dal tribunale.

Tornando alla Sentenza 6598 del 2019 della Suprema Corte, va analizzata anche la posizione del datore di lavoro.

Ebbene, i Supremi Giudici hanno chiarito che non è mai configurabile una responsabilità (concorrente con quella del danneggiante principale) della società datrice di lavoro per non aver sorvegliato ed evitato che tra i dipendenti si instaurassero relazioni personali lesive del diritto alla fedeltà coniugale; e ciò anche nel più limitato ambito della rilevanza solo indiretta della violazione di tali doveri, qualora la violazione di essi abbia dato causa alla violazione del rispetto alla dignità personale dell’altro coniuge.

L’ingerenza del datore di lavoro nelle scelte di vita personali dei dipendenti integrerebbe di per sé, al contrario, la violazione di altri diritti costituzionalmente protetti, quali il diritto alla privacy nel luogo di lavoro.

Un secondo solo ….…     

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