Il trasferimento del lavoratore: quando è illegittimo?

Il penultimo comma dell’art. 2103 del codice civile prescrive che ogni lavoratore non possa essere trasferito da un’unità produttiva ad un’altra, se non per comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive.

Ciò significa che il datore di lavoro, anzitutto, deve dimostrare che la sede di attuale assegnazione del dipendente non ha più necessità di quella risorsa lavorativa, in quanto la relativa figura professionale è estinta, oppure c’è esubero di personale, per quanto alla qualifica ricoperta dall’interessato. Inoltre, la società datrice di lavoro deve provare, per converso, la necessità dell’impiego del lavoratore presso la sede di trasferimento (perché, ad esempio, il ramo d’azienda presso cui il dipendente svolgeva le proprie specifiche mansioni è stato spostato integralmente presso altra struttura).

Ulteriore requisito imprescindibile: le ragioni tecniche, organizzative e produttive alla base del trasferimento del lavoratore vanno specificate per iscritto alla persona del dipendente che ne faccia richiesta, in modo dettagliato e non generico, prima che il trasferimento stesso si perfezioni. Si faccia attenzione: qualora il lavoratore non ne faccia specifica richiesta, oggi la Cassazione ritiene che sia legittimo anche un trasferimento comunicato oralmente (cfr. Cass. Civ. Sez. Lav. Sent. n. 13601/2017).

Innumerevoli sono gli interventi della Suprema Corte in materia di trasferimento: i Giudici di Piazza Cavour hanno elaborato principi giurisprudenziali cui far necessariamente riferimento, qualora si prospetti un’ipotesi di trasferimento di risorse lavorative in organico, da una sede di lavoro ad un’altra.

Con Sentenza n. 21712 del 2012, la Sezione Lavoro della Cassazione ha evidenziato che il trasferimento del dipendente non può gravare in modo oggettivamente insostenibile sulla persona del lavoratore, sia a livello economico che a livello familiare. Qualora il lavoratore sia posto, in conseguenza del trasferimento, nelle condizioni di doversi sobbarcare gravi esborsi al fine di recarsi presso la nuova sede di destinazione, o, ancora, nell’ipotesi in cui sussistano condizioni che pongano in difficoltà la persona del lavoratore rispetto al menage familiare, ebbene in questi casi il trasferimento non verrà apprezzato come scelta legittima della controparte datoriale.

Del resto, osserva ancora la Cassazione nella Sentenza citata, i doveri di cooperazione del “creditore” (ossia, la persona del prestatore di lavoro), così come previsti all’interno dell’art. 1227 comma II del codice civile (cfr. “Il risarcimento non è dovuto per i danni che il creditore avrebbe potuto evitare usando l’ordinaria diligenza”), debbono essere interpretati nel senso che, nel concetto di ordinaria diligenza possono esser ricomprese soltanto quelle attività che non assumano oneri gravosi, eccezionali o, comunque, tali da comportare notevoli rischi e sacrifici.

In forza di suddetta declaratoria, il rifiuto opposto dai lavoratori (nel caso di specie, si trattava di magazzinieri, non accondiscendenti alla richiesta di trasferimento presso un’unità lavorativa distante oltre 100 chilometri rispetto alla sede di lavoro attuale), assume caratteri di assoluta legittimità, nella misura in cui comporta, in capo alle persone dei dipendenti, un notevole aggravio di spese ed un rilevante sacrificio personale, attesa la lontananza dai propri familiari.

trasferimento lavoratore

Le esigenze familiari e la sfera privata del lavoratore sono tutelate dalla Cassazione all’interno di un’altra interessante pronuncia resa dai Supremi Giudici, laddove si statuisce: “ferma restando l’insindacabilità dell’opportunità del trasferimento, salvo che risulti diversamente disposto dalla contrattazione collettiva, il datore di lavoro, in ottemperanza dei principi di correttezza e buona fede (articolo 1375 del codice civile), qualora possa far fronte a dette ragioni avvalendosi di differenti soluzioni organizzative, per lui paritarie, è tenuto a preferire quella meno gravosa per il dipendente, soprattutto nel caso in cui questi deduca e dimostri la sussistenza di serie ragioni familiari ostative al trasferimento” (Cassazione Civile Sez. Lav. Sent. n. 1608/2016).

Ne discende che il principio della possibilità di avvalersi di soluzioni organizzative meno onerose per la persona del lavoratore, diviene baluardo giurisprudenziale, a tutela della persona del dipendente, qualora il tratteggiato trasferimento assuma contorni assolutamente gravosi ed insostenibili nella concretezza della vita personale.

Un secondo solo …….     

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