La legge prevede casi in cui un atto di donazione può esser revocato.
In particolare, l’art. 800 del codice civile prevede che la donazione possa esser revocata per sopravvenienza di figli, oppure per “ingratitudine”.
Chi viene qualificato dalla legge come “ingrato” e, dunque, meritevole di revocazione di un atto di liberalità?
Anzitutto, sono “ingrati” alcuni dei soggetti qualificati anche come “indegni” dalla legge, ossia coloro che vengono esclusi dalla successione, come disposto dai primi tre numeri dell’art. 463 del codice civile:
1) chi ha volontariamente ucciso o tentato di uccidere la persona della cui successione si tratta, o il coniuge, o un discendente, o un ascendente della medesima, purché non ricorra alcuna delle cause che escludono la punibilità a norma della legge penale;
2) chi ha commesso, in danno di una di tali persone, un fatto al quale la legge dichiara applicabili le disposizioni sull’omicidio;
3) chi ha denunziato una di tali persone per reato punibile con l’ergastolo o con la reclusione per un tempo non inferiore nel minimo a tre anni, se la denunzia è stata dichiarata calunniosa in giudizio penale; ovvero ha testimoniato contro le persone medesime imputate dei predetti reati, se la testimonianza è stata dichiarata, nei confronti di lui, falsa in giudizio penale.
Sono altresì “ingrati” coloro che si sono resi colpevoli d’ingiuria grave verso il donante, o hanno dolosamente arrecato grave pregiudizio al patrimonio di lui, o gli hanno rifiutato indebitamente gli alimenti dovuti per legge.
La Suprema Corte con Sentenza n. 14093 del 2008 ha avuto modo di precisare che il concetto di “ingiuria grave”, tale da legittimare la revocazione della donazione, consiste in un qualsiasi atto o comportamento che rechi pregiudizio in modo rilevante al patrimonio morale della persona del donante, e riveli, per ciò solo, un sentimento di avversione da parte del donatario.
Nel caso specifico, i Supremi Giudici ritennero che fosse perfettamente integrante con gli estremi dell’ingiuria grave, la condotta della moglie, la quale per lungo tempo aveva allacciato una relazione d’adulterio, costellata da menzogne, atti irriguardosi, intrattenuta con un uomo più giovane, per di più sfociata nell’abbandono della famiglia, nonostante la presenza di figli.
Al fine di ottenere la revocazione della donazione fatta all’indegno, è necessario che la persona del donante o i suoi eredi, propongano una domanda giudiziale dinanzi al Tribunale Civile.
All’esito del giudizio, qualora la domanda venga accolta, viene pubblicata una sentenza costitutiva. Il donatario soccombente nella causa civile, sarà tenuto a restituire i beni donati in natura, se essi esistono ancora, nonché i frutti relativi, a partire dal giorno della domanda giudiziale. Se il donatario ha alienato i beni, sarà obbligato a restituirne il valore, avuto riguardo al tempo della domanda, ed i frutti relativi, a partire dal giorno della domanda stessa.
L’art. 802 del codice civile prescrive che la domanda giudiziale debba esser proposta entro l’anno dal giorno in cui il donante è venuto a conoscenza del fatto che consente la revocazione. Se il donatario si è reso responsabile di omicidio volontario in persona del donante o gli ha dolosamente impedito di revocare la donazione, il termine per proporre l’azione è di un anno dal giorno in cui gli eredi hanno avuto notizia della causa di revocazione.
Non possono revocarsi per causa d’ingratitudine (e neppure per sopravvenienza di figli), le donazioni rimuneratorie (effettuate per riconoscenza) e quelle fatte in riguardo di un determinato matrimonio.
L’art. 808 del codice civile prescrive che la revocazione della donazione non pregiudica i diritti di terze persone, purché acquisiti anteriormente alla domanda giudiziale, salvi gli effetti della trascrizione di questa. Il donatario, che prima della trascrizione della domanda di revocazione ha costituito sui beni donati diritti reali che ne diminuiscono il valore, deve indennizzare il donante della diminuzione di valore sofferta dai beni stessi.
Un secondo solo …….
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