Un uomo rimaneva vittima di un investimento stradale, riportando gravi lesioni interne e restando in uno stato vegetativo per tre anni.
Purtroppo la vittima dell’incidente non riusciva a guarire e decedeva a causa del trauma subito in conseguenza del sinistro.
Gli eredi dell’uomo promuovevano azione contro la proprietaria dell’autovettura che aveva procurato l’evento lesivo, nonchè contro l’assicurazione.
Il giudice, oltre a ripartire la responsabilità nella causazione dell’incidente per il 75% in capo alla vittima e per il restante 25% in capo alla conducente dell’autoveicolo che materialmente aveva investito l’uomo, davano seguito a criteri di liquidazione del danno, in favore degli eredi, secondo i seguenti parametri:
– veniva liquidato il danno biologico subito dalla vittima, verificatosi a cavallo dell’intervallo di tempo tra il verificarsi dell’evento lesivo e la morte, tenendo conto della vita effettivamente vissuta dall’uomo;
– veniva liquidato anche il danno non patrimoniale patito dagli eredi “iure proprio” in ragione dell’intervenuto decesso del loro parente.
Ricorrendo davanti alla Corte di Cassazione, gli eredi lamentavano che i criteri per la liquidazione del danno non patrimoniale non fossero stati adeguati, perchè non erano state considerate tutte le conseguenze che la morte del parente aveva procurato negli eredi, con particolare riferimento all’assistenza fattiva che costoro avevano prestato alla vittima dell’incidente nell’ospedale.
Si rammenta che il fatto illecito dal quale deriva il danno (in tale evenienza, la morte della vittima dell’incidente stradale), determina due diversi soggetti danneggiati, ossia il soggetto purtroppo rimasto coinvolto nel sinistro (e colpito dall’evento morte), ed i congiunti del danneggiato principale, a loro volta danneggiati a livello non patrimoniale.
Ovviamente, il danno patito dalla vittima principale, viene liquidato in favore dei parenti “iure hereditatis”.
Quanto dal danno subito “iure proprio” dai parenti, lo stesso va a sua volta suddiviso in due distinti sezioni: il danno patito dai parenti durante il periodo di sopravvivenza della vittima dell’incidente, esplicantesi nelle afflizioni nel dover vedere il proprio caro in condizioni di degenza grave (tanto più nel caso di specie, laddove l’uomo entrava in stato vegetativo); il danno successivo alla morte della vittima, esplicantesi nella sofferenza derivante dall’evento morte.
La Sezione Sesta della Corte di Cassazione (con Ordinanza 28168 del 31 ottobre 2019) decideva, nel particolare caso sottoposto alla propria attenzione, che la Corte d’Appello non aveva rettamente distinto queste due distinte sofferenze proprie dei congiunti della vittima.
Andava infatti valorizzato giuridicamente il sentimento di apprensione, patito dai parenti durante lo stato vegetativo dell’uomo, per le sorti del proprio parente; andavano altresì valorizzate in sede liquidatoria anche le forzose rinunce indotte dalla necessità di prestare una prolungata assistenza alla vittima.
Tali pregiudizi, evidenziavano i Supremi Giudici nell’Ordinanza sopra ricordata, rappresentano un danno “identico per natura, ma diverso per oggetto”, dal pregiudizio patito dagli stessi eredi, una volta che la vittima del sinistro sia deceduto.
Ne deriva che nel caso in cui un soggetto, in conseguenza di un incidente stradale, subisca inizialmente delle lesioni che ne provochino una degenza, più o meno lunga, e successivamente muoia in conseguenza sempre dell’incidente e dei traumi riportati, nella valutazione del nocumento subito “iure proprio” dagli eredi bisogna considerare tanto l’afflizione cagionata dal lutto, quanto le sofferenze, i patemi, le rinunce patite dai familiari della vittima nel recarle assistenza, per tutto il tempo in cui questa rimaneva degente ed in stato vegetativo.
Così la Suprema Corte:
“il pregiudizio non patrimoniale patito dai prossimi congiunti di persona gravemente ferita, e consistito tanto nell’apprensione per le sorti del proprio caro, quanto nelle forzose rinunce indotte dalla necessità di prestare duratura e prolungata assistenza della vittima, è un danno identico per natura, ma diverso per oggetto, dal pregiudizio patito della medesime persone, una volta che il soggetto ferito sia venuto a mancare. Ne consegue che se una persona venga dapprima ferita in conseguenza d’un fatto illecito, ed in seguito muoia a causa delle lesioni, nella stima del danno patito iure proprio dai suoi familiari il giudice deve tenere conto sia del dolore causato dalla morte, sia dalle apprensioni, dalle sofferenze e della rinunce patite dai suoi familiari per tutto il tempo in cui la vittima primaria fu invalida e venne da loro assistita”