Nell’ammirare l’autenticità e la forza regalata da un artista come Van Gogh ai lavoratori contadini, nel suo dipinto “I mangiatori di patate“, leggo oggi una notizia che lascia di stucco.
Un bracciante di origini indiane, impegnato all’interno di un’azienda agricola in provincia di Latina, già suo malgrado sottopagato, avrebbe richiesto al datore di lavoro di ricevere la mascherina protettiva ed i guanti.
Per tutta risposta, l’uomo sarebbe stato licenziato in tronco e poi malmenato e gettato, ferito, dentro un canale di scolo delle acque.
La polizia, su ordinanza del gip del Tribunale di Latina, ha disposto gli arresti domiciliari per l’imprenditore a capo dell’azienda agricola e l’obbligo di presentazione per il figlio del titolare.
Le attività d’investigazione conseguenziali all’episodio hanno consentito di verificare la presenza di altri altri braccianti sfruttati e retribuiti dai due uomini con una paga ai limiti della schiavitù, tanto da rivelare “un sistematico sfruttamento economico, con condizioni di lavoro difformi alla vigente normativa in materia di sicurezza e sanitaria”.
Il deputato Fratoianni è intervenuto sulla questione dal proprio account facebook, dal quale ha scritto che questi braccianti venivano impiegati “12 ore di lavoro ogni giorno della settimana senza nemmeno la malattia, paga oraria di 4 euro, in busta paga solo un terzo delle giornate lavorate”.
Questa vicenda non fa che rinnovare, per l’ennesima volta, i campanelli d’allarme in materia di sfruttamento del lavoro, nelle forme del lavoro totalmente “a nero”, o comunque anche nelle forme del lavoro sottopagato, con compensi da vergogna.
Si badi bene, il problema del lavoro irregolare, a prescindere dalla questione immigrazione e dal reato di clandestinità, resta uno dei mali più gravi della nostra società.
Il fenomeno reitera ancora nei giorni nostri la questione salariale, determinando, una volta di più, tra le aule dei tribunali, il ricorso necessario ed ineliminabile al disposto dell’articolo 36 della Costituzione.
La norma disciplina il diritto di tutti i lavoratori a percepire una retribuzione proporzionata alla quantità ed alla qualità del lavoro prestato ed, in ogni caso, sufficiente ad assicurare ai prestatori di lavoro ed alle loro famiglie, un’esistenza libera e dignitosa.
La Carta costituzionale non ha previsto una “riserva di legge” in materia di salario minimo garantito, non volendo esplicitamente delegare il legislatore ordinario nel decidere i limiti di “proporzionalità” e di “sufficienza” previsti dai Padri costituenti.
Con alcune pronunce della Suprema Corte, tra le quali in particolare la Sentenza n. 461 del 1952, l’articolo 36 acquisì un valore di precettività e di immediata applicabilità ad ogni contratto di lavoro, come fonte del diritto all’applicazione, in favore dei lavoratori, a prescindere dall’iscrizione o meno all’organizzazione sindacale, dei minimi tabellari previsti all’interno dei contratti collettivi nazionali.
Le palesi debolezze che denota oggi la capacità negoziale dei sindacati, unite a ritardi spesso atavici nei rinnovi dei minimi tabellari per numerose categorie merceologiche dei contratti collettivi, oltre al fardello ancor più oneroso della crisi economica conseguenziale all’emergenza sanitaria, sono elementi che stanno riaprendo in modo preponderante il dibattito sul minimo salariale attraverso la legge.
In un tale scenario, peraltro, il lavoro femminile si conferma come il più esposto a rischi di precarietà e di impoverimento.
La recente riforma che ha introdotto il reddito di cittadinanza, in cui viene dichiarata “congrua” un’offerta all’aspirante lavoratore che faccia riferimento ad una retribuzione “superiore di almeno il 10 per cento del beneficio massimo fruibile da un solo individuo, inclusivo della componente ad integrazione del reddito dei nuclei residenti in abitazione in locazione”, pari cioè, ad oggi, ad euro 858,00 mensili, sembra fare da anticamera ad un intervento legislativo sul salario minimo, che rivesta i crismi della sistematicità.
Il salario minimo legale potrebbe assicurare, in ragione della propria forza prescrittiva, una difesa più effettiva dal decremento sempre più umiliante dei salari, riducendo gli abusi nella determinazione dei livelli retributivi.
Ciò al fine di riconferire una valore sostanziale al dettato dell’art. 36 della Costituzione, restituendo ad ogni lavoratore la dignità e la libertà voluta dai Padri costituenti.