Lungi dall’apparire come un novello “Saturno” che ingoiava i propri figlioletti negando loro il diritto alla vita, l’uomo vede oggi affermare la propria paternità come un diritto.
Si tratta di un valore costituzionalmente protetto, poiché fondato sul dictum dell’art. 2 e dell’art. 34 della Carta costituzionale, venendo ad esprimersi la personalità dell’essere umano, all’interno delle formazioni sociali in cui lo stesso opera.
E’ la Suprema Corte a riconoscere questo diritto, con una recentissima pronuncia resa dalla Terza Sezione Civile in data 5 maggio 2020, rubricata al numero 8459 del 2020.
Diritto cui corrisponde la risarcibilità laddove lo stesso non abbia avuto la possibilità di esplicarsi nella realtà, in ragione di una condotta omissiva posta in essere dalla compagna del padre all’oscuro della propria discendenza.
Ebbene, i Supremi Giudici hanno evidenziato che la personalità giustamente può esternarsi anche tramite la filiazione, sia sotto il profilo della trasmissione del proprio patrimonio genetico, sia sotto l’aspetto, maggiormente qualificante e più propriamente relazionale, riguardato come scelta assunta volontariamente dal genitore di dedicare il proprio impegno ad assistere al minore in tutte le tappe della sua vita, a cominciare dalla nascita.
Aspirazione, questa, che incontra comunque il limite invalicabile del superiore interesse del minore ed, ove questi abbia raggiunto la maggiore età, della sua previa autorizzazione.
Orbene, l’omessa informazione dell’avvenuto concepimento, da parte della donna, consapevole della maternità, pure in assenza di una specifica prescrizione normativa impositiva di tale obbligo di condotta, può tradursi in una condotta “non iure” ove non risulti giustificata da un oggettivo apprezzabile interesse del nascituro, in quanto in astratto suscettibile di determinare un pregiudizio all’interesse del padre naturale.
Ogni padre naturale, infatti, ha legittimamente l’interesse ad affermare la propria identità genitoriale, e la lesione di tale interesse può tradursi in un danno ingiusto, che viene ad integrare, nel ricorso dell’elemento soggettivo del dolo o della colpa, la fattispecie di cui all’art. 2043 c.c. della responsabilità aquiliana.