Molti numeri di telefonia mobile collegati all’account di messaggistica più famoso al mondo, WhatsApp, risultano leggibili “in chiaro” sul motore di ricerca di Google.
Tale situazione è stata scoperta dal “cyber security researcher” Athul Jayaram e successivamente numerosi media l’hanno bollata come in violazione della normativa sulla privacy.
Tuttavia, a veder bene le cose, si tratta di nient’altro che un’espressione di un consenso liberamente fornito al colosso multinazionale Facebook (proprietario dell’applicazione WhatsApp) da parte del singolo utente, nell’utilizzo della funzione “click to chat” presente all’interno del servizio di messaggistica online.
Soprattutto per chi vuole promuovere un brand, un’azienda, un servizio, è molto utile inserire sul proprio sito un banner grafico, invitando il lettore a cliccare su di esso, al fine di iniziare una conversazione a mezzo “WhatsApp” con il gestore del sito.
La notizia di numerosi allarmi lanciati da tanti utenti, “infuriati” con il notissimo servizio di messaggeria per la diffusione dei propri numeri personali, è stata ripresa lo scorso 8 giugno anche dal Corriere della Sera online, che così precisa:
… i metadati della funzione Click to Chat … vengono indicizzati dal motore di ricerca e al loro interno è compreso anche il numero di telefono.
Nello specifico, l’url incriminata è questa: https://wa.me/numeroditelefono.
Ogni contatto di WhatsApp, infatti, ha un suo link personale e se al posto della scritta «numeroditelefono» si inserisse un vero numero, comprensivo di prefisso, sarebbe possibile comunicare anche con una persona di cui non abbiamo registrato il contatto”.
Per fare un esempio concreto, se un visitatore di un sito di vendita di un prodotto online volesse approfondire le specifiche di quell’oggetto esposto sulla pagina web, in molti casi avrebbe la possibilità di rivolgere una domanda diretta tramite la funzione “click to chat”, reindirizzando la stessa sul numero di Whatsapp dell’azienda.
O ancora, in alcuni casi è anche possibile effettuare una scansione di un codice a barre contenente lo stesso rinvio ipertestuale alla chat di messaggistica.
Una volta cliccato il banner, si aprirebbe immediatamente l’applicazione “WhatsApp” e sarebbe possibile colloquiare con l’azienda.
Quest’ultima, tuttavia, nell’utilizzare la funzione “click to chat” fornisce a priori (nel momento stesso in cui scarica la app) esplicito consenso lacchè il proprio numero venga inserito nell’url dei motori di ricerca “https://wa.me/numeroditelefono”.
Va ulteriormente precisato che i numeri degli utenti che utilizzano il “click to chat” sono contenuti nel dominio wa.me, che tiene in memoria, all’interno di una stringa di URL, i dati dello specifico numero di telefono.
Se si procede con un “clic” sull’URL del numero pubblicizzato nella funzione “click to chat”, non si acquisisce il nominativo dell’utente collegato al numero di telefono, ma senz’altro si acquisisce l’immagine del profilo.
La risposta ufficiale di WhatsApp rispetto alle accuse di violazione della privacy è giunta molto presto, nei termini che seguono:
La nostra funzione Click to Chat, che permette agli utenti di creare un URL con il proprio numero di telefono in modo che chiunque possa facilmente inviare loro messaggi, è largamente usata da piccole e micro imprese nel mondo per connettersi con i propri clienti.
Sebbene abbiamo apprezzato il report e il tempo che il ricercatore ha impiegato per condividerlo con noi, non è stata tuttavia prevista una ricompensa perché il report contiene semplicemente un indice, ricavato da un motore di ricerca, degli URLs che gli utenti di WhatsApp hanno deciso di rendere pubblici. Tutti gli utenti di WhatsApp, incluse le aziende, hanno la possibilità di bloccare i messaggi indesiderati semplicemente con un tasto.