Il buon Ragionier Fantozzi con la spalla Filini cercava in tutti i modi di scappare dalle grinfie della “megaditta”, inventando fantomatiche malattie di provenienza sconosciuta.
Ma se un dipendente opera una vera e propria “strategia” disseminando assenze per malattia a “macchia di leopardo”, magari agganciandosi a “ponti” di vacanza, cosa può succedere?
La Suprema Corte, con Sentenza della Sezione Lavoro rubricata al n. 18283 dell’8 luglio 2019, è intervenuta in un caso davvero emblematico: il lavoratore “incriminato” di condotta maliziosa e contraria all’azienda per l’uso “strategico” della malattia, aveva dato seguito, a giudizio dei Supremi Giudici, ad una precisa metodica di tipo machiavellico: egli effettuava la comunicazione del proprio status patologico entro le prime due ore dell’orario base della giornata lavorativa (come richiesto dal contratto collettivo del settore merceologico applicato al rapporto), ma con un “tempismo” sempre prossimo alla relativa scadenza.
Suddetto modus operandi veniva costantemente seguito dal dipendente, del tutto insensibile rispetto alle esigenze aziendali ed alle necessità di copertura dei turni, ma soprattutto nonostante il lavoratore fosse benissimo a conoscenza a priori della propria malattia e, dunque, della circostanza che egli non si sarebbe recato al lavoro, essendo peraltro già in ritardo rispetto all’orario d’ingresso.
Si trattava di una condotta particolarmente grave, tale da arrecare un evidente pregiudizio in capo all’organizzazione dell’impresa, che era posta nella disagevole condizione di non poter mai attivare il controllo ispettivo dello stato di malattia del dipendente, tale era il minimo scarto temporale della comunicazione di assenza.
Per altri giorni, peraltro, il lavoratore era solito inviare la comunicazione di malattia addirittura oltre l’orario consentito.
Inoltre, la malattia risultava manifestarsi il giovedì e durare anche per il venerdì, salvo riprendere il lunedì e durare uno o due giorni ancora.
Ed ancora, il certificato medico, se comunicato, veniva trasmesso sempre in ritardo e senza coprire neppure tutti i giorni fruiti.
Avveniva anche che alcuni giorni di assenza non fossero affatto giustificati.
Elementi, questi, che determinavano la Suprema Corte a confermare la giustizia del provvedimento datoriale di licenziamento per giusta causa.
La fattispecie appena rammentata, richiamata a gran voce anche dai quotidiani nazionali, fa tornare alla mente anche un intervento ancor più drastico reso dalla Cassazione, allorquando lo stato di malattia fosse comunque giustificato (non frutto di maliziosi “piani” machiavellici, come nel caso trattato nel 2019).
Ebbene, con Sentenza n. 18678 del 12 giugno – 4 settembre 2014 la Sezione Lavoro aveva già modo di evidenziare la legittimità di un licenziamento per giustificato motivo oggettivo, allorquando il lavoratore si poneva in malattia in modo ripetuto e costante, con assenze “a macchia di leopardo” che, pur non superando il periodo di comporto, erano tali da compromettere la regolare organizzazione dell’attività d’impresa.
In tal caso, infatti, osservavano i Supremi Giudici, veniva alla luce il concetto di “scarso rendimento” del dipendente, estrinsecantesi in una “evidente violazione della diligente collaborazione … in conseguenza dell’enorme sproporzione tra gli obiettivi fissati dai programmi di produzione per il lavoratore e quanto effettivamente realizzato nel periodi di riferimento, avuto riguardo al confronto dei risultanti dati globali riferito ad una media di attività tra i vari dipendenti ed indipendentemente dal conseguimento di una soglia minima di produzione”.
In tal senso, la malattia non veniva in rilievo in sè e per sè, ma in quanto le assenze “a singhiozzo” e ripetute del lavoratore, anche se incolpevoli, davano luogo a scarso rendimento e rendevano la prestazione non più utile per il datore di lavoro, incidendo negativamente sulla produzione aziendale.
Così ancora evidenziava la Suprema Corte nella Sentenza del 2014:
Come risultava dalla istruttoria (testi escussi colleghi del F.) le assenze comunicate all’ultimo momento determinavano la difficoltà, proprio per i tempi particolarmente ristretti, di trovare un sostituto, considerato, fra l’altro che il F., risultava assente proprio allorchè doveva effettuare il turno di fine settimana o il turno notturno, il che causava ulteriore difficoltà nella sostituzione (oltre che malumori nei colleghi che dovevano provvedere alla sostituzione), ciò anche in ragione del verificarsi delle assenze “a macchia di leopardo
Sulla base di tali considerazioni, priva di fondamento risultava l’obiezione, pur sollevata dalla difesa del lavoratore, della non irrogabilità del licenziamento in presenza di assenze per malattia che non superino il periodo di comporto.