La lesione della reputazione e della dignità davanti a false accuse di tradimento coniugale

Nella Babilonia del Sesto Secolo Avanti Cristo viveva una casta donna di nome Susanna, moglie integerrima sempre fedele al marito.

Narra il Libro del profeta Daniele della Bibbia che costei venne avvicinata, durante un bagno, da due anziani signori, i quali le proposero condotte lascive; davanti al rifiuto opposto dalla donna, i “vecchioni” diffamarono gravemente la povera Susanna, riferendo che ella si fosse accompagnata con un uomo, in una relazione extraconiugale.

Sarà proprio il profeta Daniele a rivelare la falsità delle accuse profferite dai due laidi “vecchioni”.

La scena è stata mirabilmente dipinta nel 1610 dalla geniale Artemisia Gentileschi e l’opera è custodita in Baviera, all’interno della Collezione “Graf von Schönborn“, nella cittadina di Pommersfelden.

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Le infamanti accuse dei “vecchioni” erano fonte di danno in quanto idonee a vulnerare non tanto (o non solo) l’opinione che la persona offesa ha di sé, ma, oggettivamente, l’apprezzamento, da parte della storicizzata comunità di riferimento, del complesso dei valori e delle qualità che la vittima esprime, quale dinamica sintesi della sua dignità personale.

Parole, queste, che calzano perfettamente nella storia della biblica Susanna, ma che in realtà sono state fatte proprie dalla Corte di Cassazione, nella specie la Sezione Sesta Penale, la quale lo scorso 4 maggio (con Sentenza n. 13564 del 2020) ha confermato una condanna per diffamazione aggravata verso un ex marito, il quale aveva ingiustamente accusato, all’interno di una querela, la sua ex moglie, riferendo che la stessa si sarebbe lasciata andare a condotte adulterine.

Rivelata l’infondatezza delle accuse dell’uomo, i Supremi Giudici non hanno fatto altro che riportarsi a concetti già vivi nel tessuto sociale del Sesto Secolo Avanti Cristo, in quanto la lesione della dignità e dell’onore davanti alla società, davanti alla “storicizzata comunità di riferimento”, costituisce il danno proprio di un’iniqua accusa di tradimento.

La condanna per diffamazione aggravata, dunque, è conseguenziale all’accertamento della lesione dell’altrui reputazione.

Inevitabile anche il doveroso risarcimento dei danni subiti dalla donna ingiustamente accusata.

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Nella Babilonia del Sesto Secolo Avanti Cristo viveva una casta donna di nome Susanna, moglie integerrima sempre fedele al marito. Narra il Libro del profeta Daniele della Bibbia che costei venne avvicinata, durante un bagno, da due anziani signori, i quali le proposero condotte lascive; davanti al rifiuto opposto dalla donna, i "vecchioni" diffamarono gravemente la povera Susanna, riferendo che ella si fosse accompagnata con un uomo, in una relazione extraconiugale. Sarà proprio il profeta Daniele a rivelare la falsità delle accuse profferite dai due laidi "vecchioni". La scena è stata mirabilmente dipinta nel 1610 dalla geniale Artemisia Gentileschi e l'opera è custodita in Baviera, nella cittadina di Pommersfelden. Le infamanti accuse dei "vecchioni" erano fonte di danno in quanto idonee a vulnerare non tanto (o non solo) l'opinione che la persona offesa ha di sé, ma, oggettivamente, l'apprezzamento, da parte della storicizzata comunità di riferimento, del complesso dei valori e delle qualità che la vittima esprime, quale dinamica sintesi della sua dignità personale. Parole, queste, che sono state fatte proprie dalla Corte di Cassazione, nella specie la Sezione Sesta Penale, la quale lo scorso 4 maggio ha confermato una condanna per diffamazione aggravata verso un ex marito, il quale aveva ingiustamente accusato, all'interno di una querela, la sua ex moglie, riferendo che la stessa si sarebbe lasciata andare a condotte adulterine. Ne parlo sul mio blog www.avvocatoroma.news #tradimento #adulterio #diffamazione #avvocatodifamiglia #avvocatodivorzista #divorzio #avvocatoroma #dirittodifamiglia #giurisprudenza

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