E’ incredibile l’artista contemporaneo Stephen Wiltshire, cui rivolgo un umile omaggio con la foto di presentazione.
Questo geniale ritrattista soffre di autismo sin dall’età di tre anni.
Eppure, ha del portentoso la capacità con la quale egli riesce a ritrarre paesaggi urbani complessi, con minuzie di particolari, dopo aver dato loro appena un fugace sguardo.
E’ compito di tutti gli Stati coltivare la libertà e l’indipendenza di tutti i disabili, artisti, lavoratori impiegati, professionisti, sportivi, artigiani, e così via, a prescindere dalle loro inclinazioni e da condizioni personali e sociali.
La Repubblica deve infatti garantire ai portatori di handicap di potersi esprimere in modo autonomo, fornendo loro assistenza fattiva nel momento in cui la stessa sia necessaria, al fine di scongiurare iniquità e trattamenti diseguali.
Come noto, la nostra Costituzione esige che l’ordinamento rimuova ogni ostacolo di ordine economico e sociale, che limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impedisca il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.
Più nello specifico, la Legge 104 del 1992 pone in essere fattivi presidi a tutela dell’assistenza, dell’integrazione sociale e dei diritti delle persone diversamente abili.
Suddetta legge disciplina la figura del lavoratore che abbia necessità di assistere con continuità un parente o un affine antro il terzo grado handicappato, con il medesimo convivente.
Tale lavoratore può scegliere, nel caso in cui sia possibile, la sede di lavoro più vicina al proprio domicilio e non può subire un trasferimento senza il proprio consenso.
Inoltre si ha diritto a permessi retributivi per fornire specifica assistenza al parente disabile, laddove si tratti di coniuge o parente o affine entro il secondo grado.
La Suprema Corte si è ripetutamente pronunciata in materia di Legge 104.
Una recente pronuncia della Sezione Lavoro ritorna sul problema delle assenze poste in essere da un lavoratore, laddove lo stesso venga colto dal datore di lavoro al di fuori del domicilio del parente disabile.
Il caso è stato definito con la recente Sentenza 12032 del 2020, pubblicata lo scorso 19 giugno.
I Supremi Giudici hanno ribadito il principio, già fatto proprio da precedenti giurisprudenziali, secondo il quale soltanto ove venga a mancare del tutto il nesso causale tra assenza dal lavoro ed assistenza al disabile, si è in presenza di un uso improprio o di un abuso dei diritti derivanti dalla Legge 104.
Incombe dunque sul datore di lavoro specifica prova in merito alla grave violazione dei doveri di correttezza e buona fede in capo al lavoratore cui sia contestata un’assenza ingiustificata.
Di certo non può dirsi legittimo un licenziamento (per giusta causa) comminato ad una lavoratrice – come avveniva nel caso posto all’attenzione della Sezione Lavoro con la Sentenza in commento – la quale era stata colta da un’agenzia investigativa (delegata dalla società datrice di lavoro) al di fuori del domicilio della madre disabile, ma comunque “a disposizione” della genitrice, impegnata in incombenze di carattere familiare in favore della parente non autosufficiente (come evidenziato dalla difesa della prestatrice di lavoro licenziata).
Nello specifico, i Supremi Giudici hanno evidenziato che fosse erroneo il ragionamento della difesa della datrice di lavoro; quest’ultima pretendeva di aver assolto agli oneri della prova circa la legittimità del licenziamento irrogato, per il sol fatto di aver “beccato” la dipendente al di fuori del domicilio della genitrice disabile, quando, invece, tale accertamento avrebbe dovuto trovare ulteriori elementi idonei a corroborare l’accusa di violazione disciplinare.
La Cassazione chiosava rilevando che, null’altro avendo dedotto e null’altro avendo provato la datrice di lavoro circa l’eventuale elusione, da parte della lavoratrice, dei diritti di cui alla Legge 104, di certo non poteva dirsi assolto l’onere della prova sulla legittima irrogazione della sanzione espulsiva, che dunque andava considerata iniqua.
Va detto che la Suprema Corte già con Sentenza n. 54712 del 2016 aveva evidenziato che durante i giorni di assenza dal lavoro, l’assistenza resa in favore del parente disabile dal lavoratore “esentato” dalla prestazione non debba essere “continua ed esclusiva”, essendo sufficiente che la stessa venga prestata con costanza e con una flessibilità dovuta alle esigenze del richiedente.
Occorre che l’assenza del lavoratore sia collegata o risulti comunque conseguenza delle necessità di cura, assistenza e collaborazione verso il parente portatore di handicap, cosa che può benissimo estrinsecarsi anche con il ritagliarsi del tempo per la propria vita sociale.