Sono possibili integrazioni “in itinere” del bando di concorso da parte del candidato? Il “dovere di soccorso”

La lettera dell’art. 6 della Legge 241 del 1990 vuole oggi al comma 1 lettera b che il responsabile del procedimento debba accertare d’ufficio i fatti, disponendo il compimento degli atti all’uopo necessari, e adottare ogni misura per l’adeguato e sollecito svolgimento dell’istruttoria.

In particolare, il responsabile del procedimento può chiedere il rilascio di dichiarazioni e la rettifica di dichiarazioni o istanze erronee o incomplete e può esperire accertamenti tecnici ed ispezioni ed ordinare esibizioni documentali.

Questa modifica è stata oggetto di puntuale approfondimento da parte di un dictum di enorme valore reso dal Consiglio di Stato con Sentenza 19 settembre – 22 novembre 2019, rubricata al numero 7975.

Un candidato presentava domanda di partecipazione al concorso per l’assunzione di sei agenti di Polizia municipale, collocandosi, al termine della procedura concorsuale, all’undicesimo posto della graduatoria di merito, e così tra gli idonei non vincitori.

In seguito di accesso ai documenti, il candidato apprendeva che la commissione esaminatrice, in fase di valutazione dei titoli, non aveva considerato, nonostante ne fosse stato espressamente dichiarato il possesso nella domanda di partecipazione, la laurea in scienze politiche, per mancata indicazione della votazione conseguita, nonché l’attività lavorativa prestata come co.co.co. in passato sempre da quel candidato.

Con ricorso al Tribunale amministrativo regionale per la Puglia, ritenendo sussistente una palese lesione di un interesse legittimo, il candidato impugnava il bando e la graduatoria finale della procedura concorsuale (oltre ai rispettivi atti di approvazione), dolendosi, nel primo motivo di ricorso, che la commissione esaminatrice aveva deciso di non procedere alla valutazione della laurea in scienze politiche per mancata indicazione del voto di laurea, senza preliminarmente esercitare il c.d. “dovere di soccorso“, come appunto imposto dall’art. 6 della Legge n. 241 del 1990.

In sostanza, al cospetto di un titolo espressamente dichiarato, sia pure in maniera incompleta, la commissione esaminatrice avrebbe dovuto richiedere dei chiarimenti ed acquisire in questo modo il dato mancante; tanto più perché in tal modo il candidato veniva sottostimato grandemente all’interno della graduatoria pubblicata all’esito della procedura concorsuale.

Altri due motivi di ricorso erano diretti a contestare la decisione della commissione di non considerare ai fini del punteggio dovuto il periodo lavorativo in precedenza indicato.

Il Consiglio di Stato ha dato ragione al candidato ricorrente, evidenziando che la giurisprudenza amministrativa ha da tempo riconosciuto che l’art. 6 (“compiti del responsabile del procedimento“), comma 1, lettera b Legge 7 agosto 1990, n. 241, abbia introdotto, nell’ambito delle regole del procedimento amministrativo, il c.d. soccorso istruttorio, con la finalità di regolarizzare o integrare una documentazione carente, nell’ottica della tutela della buona fede e dell’affidamento dei soggetti coinvolti dall’esercizio del potere.

I casi in cui è attivabile il soccorso istruttorio, peraltro, vanno tenuti distinti da quelli nei quali, non di documentazione irregolare o carente si tratta, ma di errore commesso dal privato nell’istanza o domanda presentata alla pubblica amministrazione (cfr. Cons. Stato, sez. V, 20 giugno 2019, n. 4198, ove è precisato che se l’errore è riconoscibile secondo le condizioni poste dalle disposizioni del codice civile per gli atti negoziali può richiedersi all’amministrazione lo sforzo diligente di emendarlo autonomamente).

Il soccorso istruttorio ha portata generale e trova applicazione, senza meno, anche nell’ambito delle procedure concorsuali, fermo il necessario rispetto del principio della par condicio per cui l’intervento dell’amministrazione diretto a consentire al concorrente di regolarizzare o integrare la documentazione presentata non può produrre un effetto vantaggioso a danno degli altri candidati.

Evidenziano i Giudici di Palazzo Spada che la commissione esaminatrice ben poteva, prima di concludere per la non valutabilità del titolo di studio posseduto, richiedere al candidato di specificare il voto conseguito all’esame finale di laurea e così solamente integrare la documentazione presentata; riconosciuto, infatti, il possesso del titolo di studio della laurea, residuava solamente un’incertezza circa il voto conseguito all’esame finale e, dunque, il punteggio da attribuire in ragione delle indicazioni del bando.

Tale incertezza era dovuta, certamente, ad incompletezza della dichiarazione, ma poteva essere facilmente superata con una richiesta di chiarimenti, senza concedere alcun indebito vantaggio ai concorrenti; il voto riportato all’esame finale di laurea, d’altra parte, era necessario per l’assegnazione del punteggio spettante secondo le indicazioni del bando.

Un secondo solo ….…     

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