Il Decreto Rilancio, in fase di imminente conversione (il termine scadrà il prossimo 18 luglio) darà seguito ad una misura di non lieve rilevanza in tema di emergenza abitativa, posticipando il blocco di tutti gli sfratti al 31 dicembre 2020.
Misura salutata con favore dalle associazioni degli inquilini, ma bollata come “irresponsabile” da Confedilizia, come riportato nelle dichiarazioni rese dal Presidente.
La situazione residenziale in Italia è sempre stata minata da un vulnus radicale, non essendo state mai avviate politiche abitative di tipo strutturale e permanente, volte a concretizzare un progetto economico e politico, con effettivo accesso ai mutui per l’acquisto degli immobili, unito alla previsione di canoni di locazione giusti.
Ecco allora che hanno trovato perenne scontro, da un lato, le istanze dei proprietari degli appartamenti, logorati da conduttori morosi e per lunghissimo tempo insediati nelle case locate, dall’altro lato, le rivendicazioni del diritto alla casa da parte di tutti, con particolare riferimento alle categorie sociali più disagiate.
Un dipinto veronese del Diciannovesimo Secolo, attribuito al pittore Carlo Canella, testimonia la drammaticità degli sfratti eseguiti con l’ausilio delle forze dell’ordine, lasciando famiglie in situazioni di degrado intollerabili.
Va evidenziato, tuttavia, che non sempre l’atteggiamento dei conduttori degli immobili è sorretto da buona fede o, quanto meno, da idonei sostegni giuridici.
Accade spesso che contenziosi di sfratto siano teatro delle contestazioni più varie (e…temerarie) da parte degli inquilini.
In numerosi casi questi ultimi decidono unilateralmente di “auto-sospendere” il pagamento dell’affitto, perché magari rivendicano la presenza di danni all’interno dell’appartamento, oppure si ritengono lesi da ulteriori circostanze presuntivamente penalizzanti.
Le difese cui fanno capo gli affittuari evocano sempre il disposto dell’art. 1460 del codice civile a proprio favore, ossia l’eccezione di inadempimento, in base al quale, all’interno dei contratti a prestazioni corrispettive, ciascuno dei contraenti può rifiutarsi di adempiere la propria prestazione se l’altro non adempie o non offre di adempiere contemporaneamente la propria, salvo che termini diversi di adempimento siano stati concordati tra le parti, o risultino dalla natura del contratto.
Va detto, tuttavia, che nella stragrande maggioranza dei casi l’obiezione sollevata dagli inquilini non è fondata.
Uno di questi casi è stato trattato di recente dalla Suprema Corte: la Sezione Terza Civile si è pronunciata con Ordinanza n. 748 del 20 marzo 2020, in merito al ricorso proposto da una società conduttrice di immobile, la quale rivendicava il proprio presunto buon diritto all’auto-sospensione dei canoni di locazione, poiché la proprietà aveva presuntivamente ostacolato il libero accesso all’immobile, oltre a non garantire l’efficienza dell’impianto elettrico interno.
Il fatto che i Supremi Giudici neppure compiano un riepilogo delle caratteristiche dell’art. 1460 del codice civile, è indicativo del carattere del tutto infondato delle eccezioni che muoveva la parte ricorrente.
In primo ed in secondo grado venne osservato che, in verità, la società conduttrice non avesse contestato l’allegazione della difesa della proprietà, che aveva rilevato di aver offerto reiteratamente le nuove chiavi della porta d’ingresso, di talchè l’accesso sarebbe stato in ogni modo consentito.
La Cassazione addirittura osservava (non senza lasciar trasparire un minimo di insofferenza) che addirittura l’immobile in questione fosse dotato di un doppio ingresso, soffermandosi altresì sull’inammissibilità in ogni caso del ricorso, attesa la mancata contestazione, da parte del difensore del ricorrente, circa le ragioni di fatto poste alla base della sentenza di primo grado e le ragioni poste alla base della sentenza di secondo grado, dimostrando che le stesse sono tra loro diverse (principio della “doppia conforme“).
Quanto al mancato adeguamento dell’impianto elettrico, i Supremi Giudici confermavano in toto le motivazioni della Corte d’Appello, secondo cui, anche ammesso e non concesso che l’obiezione della società conduttrice avesse un fondamento, la stessa ben avrebbe potuto provvedere alla realizzazione dei lavori di messa a norma, con diritto alla ripetizione delle spese sostenute.
Dunque, la sospensione (o l’eventuale riduzione) del canone di locazione non è mai consentita al conduttore, se non quando manca completamente la controprestazione da parte del locatore (come da giurisprudenza unanime della Cassazione): solo in quest’ultima evenienza sussisterebbe un manifesto squilibrio di posizioni tra le parti, che altererebbe in modo significativo il sinallagma contrattuale.
Di certo, non era questo il caso sottoposto all’esame della Sezione Terza lo scorso 20 marzo.