Nel 1919 veniva messo in scena in Roma, al Teatro Argentina, l’atto unico “La patente” a firma del grande Maestro Luigi Pirandello.
Si tratta della storia grottesca di un personaggio bollato da amici, conoscenti e concittadini con il marchio di “portasfortuna”: allontanato da tutti, anche dal posto di lavoro, quest’uomo finiva addirittura per interiorizzare il timbro di “menagramo” tant’è che, in un eccesso di follia, si determinava a richiedere al Tribunale la relativa “patente” di iettatore.
Volendo parlare di altri tipi di patenti, sia questa l’occasione per rammentare a noi stessi l’amara e finanche odiosa portata dell’articolo 126 bis del codice della strada, che dispone al comma II che nel caso di mancata identificazione di un trasgressore, il proprietario del veicolo, ovvero altro obbligato in solido, deve fornire all’organo di polizia che procede, entro sessanta giorni dalla data di notifica del verbale di contestazione, i dati personali e della patente del conducente al momento della commessa violazione.
Se entro 60 giorni dalla notifica del verbale non si procede con la comunicazione dei dati del conducente il proprietario del veicolo riceverà una seconda multa di un importo da 292 a 1.168 euro.
Ha suscitato notevole interesse, anche tra i quotidiani a maggior diffusione nazionale, l’Ordinanza resa in data 18 aprile 2018 dalla Sezione Seconda Civile della Cassazione e rubricata al numero 9555.
La vicenda vedeva protagonista una proprietaria di autoveicolo la quale impugnava davanti al Giudice di Pace di Bari un verbale di accertamento del 15.12.2007 elevato dalla Polizia Municipale di Bari per violazione dell’art. 126 bis C.d.S., eccependo di aver comunicato tempestivamente alla suddetta Polizia Municipale di non essere in grado di indicare le generalità di chi era alla guida del veicolo di sua proprietà al momento della originaria infrazione a causa sia del notevole tempo trascorso tra l’infrazione (il 06 marzo 2007) e la notifica del verbale di accertamento (il 28 giugno 2007), sia della circostanza che il veicolo era utilizzato oltre che da lei anche dal marito e dalle sue due figlie.
Sia il Giudice di Pace, sia il successivo Tribunale di Bari davano ragione alla automobilista, richiamando i principi espressi dalla Corte Costituzionale con Sentenza n. 165 del 2008, secondo cui bisogna distinguere la condotta di chi omette del tutto di comunicare alla P.A. le generalità del conducente del veicolo al momento dell’infrazione, da quella di colui che invece comunichi l’esistenza di validi motivi idonei a giustificare l’omessa trasmissione dei dati richiesti.
Sulla base di questi presupposti, i giudici di merito concordavano sul fatto che la donna non fosse stata in grado di fornire i dati dell’effettivo trasgressore, in quanto la violazione risaliva a circa quattro mesi prima rispetto alla notifica del verbale ed il veicolo era spesso utilizzato anche da altri familiari.
L’omissione da parte della automobilista era perciò legittima per i giudici di merito, ed escludeva la sua responsabilità per la contestata violazione amministrativa.
I Supremi Giudici ribadivano il concetto che il proprietario di un veicolo, in quanto responsabile della circolazione dello stesso nei confronti della P.A. o dei terzi, è tenuto sempre a conoscere l’identità dei soggetti ai quali affida la conduzione e, di conseguenza, a comunicare tale identità all’autorità amministrativa che gliene faccia legittima richiesta, al fine di contestare un’infrazione amministrativa. L’inosservanza di tale dovere di collaborazione è sanzionata senza che il proprietario possa sottrarsi legittimamente a tale obbligo in base al semplice rilievo di essere proprietario di numerosi automezzi o di avere un elevato numero di dipendenti che ne fanno uso.
Trattasi però di orientamento che deve essere precisato alla luce di quanto espressamente affermato dalla Corte Costituzionale nella Sentenza interpretativa n. 165 del 2008 sopra richiamata.
Il giudice delle leggi in motivazione ha infatti affermato: ” …. che debba essere riconosciuta al proprietario del veicolo la facoltà di esonerarsi da responsabilità, dimostrando l’impossibilità di rendere una dichiarazione diversa da quella “negativa” (vale a dire di non conoscenza dei dati personali e della patente del conducente autore della commessa violazione).
Si tratta di una conclusione che discende anche dalla necessità di offrire della censurata disposizione, nella parte in cui richiama l’art. 180 comma 8 del medesimo codice della strada, un’interpretazione coerente proprio con gli indirizzi ermeneutici formatisi in merito alla norma richiamata, e secondo i quali essa sanzionerebbe il «rifiuto» della condotta collaborativa (e non già la mera omessa collaborazione) necessaria ai fini dell’accertamento delle infrazioni stradali.
Inoltre, come anche affermato dalla Suprema Corte con l’Ordinanza n. 434 del 2007, appare necessario precisare – per fugare «persistenti dubbi nell’interpretazione del testo originario dell’art. 126-bis comma 2 del codice della strada» – che la scelta in favore di «un’opzione ermeneutica, che pervenisse alla conclusione di equiparare ogni ipotesi di omessa comunicazione dei “dati personali e della patente del conducente al momento della commessa violazione”, presenterebbe una dubbia compatibilità con l’art. 24 Cost.»; essa, infatti, «non consentendo in alcun modo all’interessato di sottrarsi all’applicazione della sanzione pecuniaria, si risolverebbe nella previsione di una presunzione iuris et de iure di responsabilità», con conseguente «lesione del diritto di difesa», dal momento che risulterebbe preclusa all’interessato «ogni possibilità di provare circostanze che attengono alla propria effettiva condotta».
Deve quindi reputarsi che, se resta in ogni caso sanzionabile la condotta di chi semplicemente non ottemperi alla richiesta di comunicazione dei dati personali e della patente del conducente, viceversa laddove la risposta sia stata fornita, ancorché in termini negativi, resta devoluta alla valutazione del giudice di merito la verifica circa l’idoneità delle giustificazioni fornite dall’interessato ad escludere la presunzione di responsabilità che la norma pone a carico del dichiarante.
Nel caso di specie il Tribunale, esercitando appunto tale discrezionale potere di apprezzamento in fatto, ha ritenuto di escludere la responsabilità della opponente valorizzando da un lato il decorso del tempo tra la data dell’infrazione contestata e quella della richiesta di informazioni (oltre tre mesi) e, dall’altro, la riferita presenza nel nucleo familiare di altri soggetti ordinariamente fruitori dell’autovettura, reputando in tal modo giustificata la mancata indicazione del nominativo del conducente.
Sulla scorta di simili postulati, veniva elaborato il seguente principio di diritto:
Ai fini dell’applicazione dell’art. 126 bis del codice della strada occorre distinguere il comportamento di chi si disinteressi della richiesta di comunicare i dati personali e della patente del conducente, non ottemperando, così, in alcun modo all’invito rivoltogli (contegno per ciò solo meritevole di sanzione) e la condotta di chi abbia fornito una dichiarazione di contenuto negativo, sulla base di giustificazioni, la idoneità delle quali ad escludere la presunzione relativa di responsabilità a carico del dichiarante deve essere vagliata dal giudice comune, di volta in volta, anche alla luce delle caratteristiche delle singole fattispecie concrete sottoposte al suo giudizio, con apprezzamento in fatto non sindacabile in sede di legittimità.