Pietro Morando è stato un grandissimo pittore contemporaneo piemontese, che ha saputo coniugare la trattazione di tematiche sociali e popolari, con una forma di espressione grafica molto diretta, immediata, visivamente accattivante.
Nell’opera “Ritorno dalla guerra” custodita presso la Sala delle Commissioni Consiliari del Consiglio Regionale del Piemonte, si vede un’umile coppia di coniugi dedita al duro lavoro del campo, con il marito, rientrato dal confilitto bellico senza più le braccia, impegnato con tutte le proprie forze corporali a trascinare l’aratro, e la moglie, da dietro, intenta a guidare l’uomo, lei che può fruire ancora della forza e della direzionalità degli arti superiori.
Un inno alla dignità nella povertà, alla determinazione nello svolgimento delle mansioni lavorative più dure, per andare avanti e guadagnare il necessario per vivere.
Proprio sull’importanza delle mansioni lavorative l’ordinamento ha dato seguito ad una normativa ad hoc, a presidio dell’effettivo ruolo professionale svolto dal prestatore di lavoro con la propria collaborazione subordinata.
Oggi l’art. 2103 del codice civile, così come modificato dal Jobs Act, recita testualmente:
Il lavoratore deve essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto o a quelle corrispondenti all’inquadramento superiore che abbia successivamente acquisito ovvero a mansioni riconducibili allo stesso livello e categoria legale di inquadramento delle ultime effettivamente svolte.
In caso di modifica degli assetti organizzativi aziendali che incide sulla posizione del lavoratore, lo stesso può essere assegnato a mansioni appartenenti al livello di inquadramento inferiore purché rientranti nella medesima categoria legale.
Il mutamento di mansioni è accompagnato, ove necessario, dall’assolvimento dell’obbligo formativo, il cui mancato adempimento non determina comunque la nullità dell’atto di assegnazione delle nuove mansioni.
Ulteriori ipotesi di assegnazione di mansioni appartenenti al livello di inquadramento inferiore, purchè’ rientranti nella medesima categoria legale, possono essere previste dai contratti collettivi.
Nelle ipotesi di cui al secondo e al quarto comma, il mutamento di mansioni è comunicato per iscritto, a pena di nullità, e il lavoratore ha diritto alla conservazione del livello di inquadramento
e del trattamento retributivo in godimento, fatta eccezione per gli elementi retributivi collegati a particolari modalità di svolgimento della precedente prestazione lavorativa.
Nelle sedi di cui all’articolo 2113, quarto comma, o avanti alle commissioni di certificazione, possono essere stipulati accordi individuali di modifica delle mansioni, della categoria legale e del livello di inquadramento e della relativa retribuzione, nell’interesse del lavoratore alla conservazione dell’occupazione, all’acquisizione di una diversa professionalità o al miglioramento delle condizioni di vita. Il lavoratore può farsi assistere da un rappresentante dell’associazione sindacale cui aderisce o conferisce mandato o da un avvocato o da un consulente del lavoro.
Nel caso di assegnazione a mansioni superiori il lavoratore ha diritto al trattamento corrispondente all’attività svolta e l’assegnazione diviene definitiva, salvo diversa volontà del lavoratore, ove la medesima non abbia avuto luogo per ragioni sostitutive di altro lavoratore in servizio, dopo il periodo fissato dai contratti collettivi o, in mancanza, dopo sei mesi continuativi.
Il lavoratore non può essere trasferito da un’unita’ produttiva ad un’altra se non per comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive.
Salvo che ricorrano le condizioni di cui al secondo e al quarto comma e fermo quanto disposto al sesto comma, ogni patto contrario e’ nullo.
Nonostante l’inserzione della possibilità di prevedere un inquadramento professionale inferiore, purché corrispondente alla medesima categoria di lavoro, qualora sopravvenga una modifica degli assetti organizzativi dell’azienda, è sempre illegittimo un demansionamento privo di giustificazione, tanto più se foriero di danno ingiusto ai danni del lavoratore.
A tal riguardo, si è da ultimo pronunciata la Sezione Lavoro della Suprema Corte, con l’Ordinanza 20466 del 28 settembre 2020.
Gli Ermellini hanno effettuato una chiarissima dissertazione, volta a distinguere, da un lato, il danno da demansionamento, dall’altro lato, il danno da illegittima sottoposizione di un lavoratore al regime di cassa integrazione straordinaria (per mancato rispetto delle rotazioni previste dalla legge).
Nell’ambito giuslavoristico si è fondatamente ritenuto che la modifica “in peius” delle mansioni ascritte al lavoratore, è potenzialmente idonea a determinare un pregiudizio a beni di natura immateriale, anche ulteriori rispetto alla salute, atteso che, nella disciplina del rapporto di lavoro, numerose disposizioni assicurano una tutela rafforzata del lavoratore, con il riconoscimento di diritti oggetto di tutela costituzionale.
Ciò porta alla configurabilità di un danno non patrimoniale risarcibile ogni qual volta vengano violati, superando il confine dei sacrifici tollerabili, diritti della persona del lavoratore oggetto di peculiare tutela al più alto livello delle fonti.
Le Sezioni Unite (vedansi Sentenze dell’11 novembre 2008 nn. 26972, 26973, 26974, 26975), dichiarando risarcibile il danno non patrimoniale da inadempimento contrattuale che determini, oltre alla violazione degli obblighi di rilevanza economica assunti con il contratto, anche la lesione di un diritto inviolabile della persona, ha considerato che l’esigenza di accertare se, in concreto, il contratto tenda alla realizzazione anche di interessi non patrimoniali, eventualmente presidiati da diritti inviolabili della persona, viene meno nel caso in cui l’inserimento di interessi siffatti nel rapporto sia opera della legge, come appunto nel caso del contratto di lavoro, da considerare ipotesi di risarcimento dei danni non patrimoniali in ambito contrattuale legislativamente prevista.
La dignità personale del lavoratore, in riferimento agli articoli 2, 4 e 32 della Costituzione, viene configurata come diritto inviolabile, la cui lesione si risolve in pregiudizio alla professionalità da dequalificazione, che si traduce nella compromissione delle aspettative di sviluppo della personalità nell’ambito della formazione sociale costituita dall’impresa.
L’assegnazione a mansioni inferiori pacificamente rappresenta fatto potenzialmente idoneo a produrre conseguenze dannose, non solo di natura patrimoniale (mancata acquisizione di un maggior saper fare, pregiudizio subito per la perdita di “chance”, ossia di ulteriori possibilità di guadagno o di ulteriori potenzialità occupazionali), ma anche di natura non patrimoniale, dal riconoscimento costituzionale della personalità morale e della dignità del lavoratore derivando il diritto fondamentale di quest’ultimo, al pieno ed effettivo dispiegamento della sua professionalità, espletando le mansioni che gli competono.
La non patrimonialità del diritto leso comporta che, diversamente da quello patrimoniale, il ristoro pecuniario del danno vada determinato in base a valutazione equitativa, anche mediante il ricorso alla prova presuntiva, che potrà costituire pure l’unica fonte di convincimento del giudice
Chiarita la potenzialità lesiva dell’assegnazione a mansioni inferiori ad opera del datore di lavoro, si è precisato che qualora questi lasci in condizione di inattività il dipendente non solo viola l’articolo 2103 del codice civile, ma lede il fondamentale diritto al lavoro, inteso soprattutto come mezzo di estrinsecazione della personalità di ciascun cittadino, nonché dell’immagine e della professionalità del dipendente, ineluttabilmente mortificate dal mancato esercizio delle prestazioni tipiche della qualifica di appartenenza; tale comportamento comporta la lesione di un bene immateriale per eccellenza, qual’è la dignità professionale del lavoratore, intesa come esigenza umana di manifestare la propria utilità e le proprie capacità nel contesto lavorativo e tale lesione produce un danno suscettibile di valutazione e risarcimento anche in via equitativa.
Diversa invece è la sfera di applicazione del danno da illegittima sottoposizione del lavoratore a cassa integrazione straordinaria, per mancata applicazione del regime turnario previsto dalla legge.
Quest’ultimo ambito rappresenta una posta risarcitoria differente rispetto al danno da demansionamento, perché diverse sono le sfere giuridiche soggettive lese.