La Suprema Corte ritiene “inescusabile” la condotta posta in essere da un ginecologo che, a fronte della denuncia, da parte di una paziente, di sintomatologie che inducono a sospettare la possibile sussistenza di una neoplasia al seno – uno dei casi in cui il tumore è tanto più efficacemente curabile, quanto più tempestivamente si intervenga per frenarne lo sviluppo – non si attivi con tempestività, omettendo di visitare la paziente, né facendola visitare da altri specialisti, rinviando ad un futuro indeterminato accertamenti ulteriori.
Tali argomentazioni sono state rese dai Supremi Giudici nella Sentenza della Sezione Terza Civile, rubricata al n. 24143 del 2010. In particolare, si è evidenziato che la necessità di un approccio tempestivo alla patologia non esclude mai lo stato di urgenza, per cui nessun sintomo che possa anche lontanamente manifestare il sospetto di una neoplasia deve essere trascurato o sottovalutato.
Vanno considerate, a tal riguardo, l’efficacia delle cure e le probabilità di guarigione o di sopravvivenza della paziente, che sono strettamente legate alla tempestività della diagnosi e delle relative terapie, a cui si dà inizio senza indugio.
Non a caso, il servizio sanitario nazionale affronta notevole spesa per assicurare ogni anno apposite misure di “screening” su tutta la popolazione femminile a rischio, in funzione preventiva, a prescindere dal rilievo individuale di disturbi od anomalie.
In tal senso, la Corte di Cassazione ha totalmente “ribaltato” gli esiti negativi della domanda giudiziale proposta dalla paziente dapprima dinanzi al Tribunale di Milano, successivamente dinanzi alla Corte d’Appello milanese, le cui motivazioni erano fondate sull’erroneo presupposto fattuale che la sintomatologia denunciata dalla donna rappresentava senz’altro “un problema serio e meritevole di approccio tempestivo”, tuttavia non avrebbe presuntivamente rivestito “carattere di urgenza”. Assunti, questi, che i Supremi Giudici hanno evidenziato come inconciliabili anche solo a livello logico, prim’ancora che fondando il ragionamento su basi di comune esperienza.
Va dunque risarcito il danno procurato dal medico specialista che erra nella diagnosi, determinando un colpevole ritardo nell’accertamento della patologia.
Non si tratterà solo di risarcimento di danno patrimoniale e biologico, ma ad esso dovrà essere aggiunto anche il risarcimento del danno non patrimoniale.
Al riguardo, l’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 2059 del codice civile porta ad affermare che, ove sia configurabile lesione di diritti della persona costituzionalmente protetti e tale lesione abbia determinato un danno non patrimoniale, sussiste in ogni caso l’obbligo di risarcire tale danno, quale che sia la fonte della responsabilità, sia contrattuale sia extracontrattuale. Così nell’ambito dei contratti “di protezione”, che si concludono nel settore sanitario, di certo è meritevole di tutela l’interesse non patrimoniale del paziente, come già statuito dalle Sezioni Unite con la Sentenza n. 26972 del 2008.