L’ art. 155 del codice civile prevede che, in caso di crisi coniugali, i figli minori abbiano il diritto intangibile di mantenere un rapporto equilibrato con entrambi i genitori.
Per garantire suddetta finalità i giudici debbono adottare i provvedimenti relativi alla prole con esclusivo riferimento all’interesse morale e materiale di essa, determinando, esclusivamente in relazione a tale interesse, i tempi e le modalità della presenza dei figli minori presso ciascun genitore.
Il diritto alla bigenitorialità del figlio minore si concretizza in provvedimenti giudiziali che dispongano modalità di visita, da parte del genitore non collocatario, per tutto il tempo necessario affinché si mantenga un rapporto sano ed equilibrato, anche attraverso il pernottamento al di fuori della casa familiare.
Sono plurime le sentenze che pongono forti incentivi al pernottamento dei figli minori presso il genitore non collocatario, che molto spesso è il padre; ciò anche avuto riguardo a bambini di tenera età.
Tra le pronunce di merito è particolarmente importante una Sentenza del Tribunale di Roma, datata 11 marzo 2016 (se ne parla approfonditamente qui), con la quale si è riconosciuto il diritto del padre di pernottare con la propria figlia di appena 16 mesi; ciò in quanto la possibilità di dormire con il padre è stata interpretata come un elemento a tutela ed a favore della bambina, ben al di là della semplice visita giornaliera, in modo da determinare, nella coscienza e nelle abitudini della minore, anche a livello inconscio, un legame radicale con entrambi i genitori, e ciò a prescindere dall’intervenuta separazione.
Sempre il Tribunale di Roma, con Sentenza del 14.06.2011 (se ne parla qui), ha previsto specifiche accortezze nel momento in cui si verifica la crisi della coppia, ritenendo che il pernotto presso la casa paterna dovesse decorrere a partire dai tre anni di età del figlio minore.
In senso evolutivo, il Tribunale di Milano, con sentenza del 14 gennaio 2015 ha fornito un’interpretazione di carattere “progressista”: solo esercitando il ruolo genitoriale un genitore matura e affina le proprie competenze genitoriali; nel caso in cui si debba affrontare il problema del pernotto per una bambina di due anni di età (come quello affrontato nello specifico dal Tribunale milanese) si tratterebbe di sconfinare verso un “pregiudizio” contrario al principio di eguaglianza, qualora si ritenesse che un padre non sarebbe in grado di occuparsi della propria figlioletta di tenera età.
Pregiudizio che non può resistere rispetto alla tutela della minore, affinché la stessa abbia sin dai primi momenti della propria vita un rapporto significativo, solido e radicale con entrambe le figure genitoriali.
Posto che la genitorialità si apprende solamente “sul campo”, facendo i genitori fattivamente e concretamente in ogni momento della giornata (e della notte), se si impedisce ad un genitore di esercitare il suo ruolo, costui non raggiungerà un livello di competenza adeguata.
Residua come indebito “luogo comune” la circostanza che un papà non sia in grado di occuparsi della figlia di due anni. Dunque, il pernotto deve essere autorizzato (concludeva sempre il Tribunale milanese).
Tali conclusioni sono state fatte proprie anche dalla Corte di Appello di Catania, con decreto del 16 ottobre 2013, laddove si è, appunto, statuito il diritto del padre di pernottare con il figlio minore di due anni di età, precisando che non sussistono prove contrarie in tal senso, volte ad evidenziare che il minore possa subire un pregiudizio; ad ogni modo, il padre, genitore non collocatario, è tenuto ad interpretare in modo responsabile eventuali segnali di disagio del figlio, in conseguenza dei quali ricondurlo dalla madre, se durante la notte subentrino difficoltà palesi; in modo uguale dovrebbe comportarsi la madre, se durante i periodi di permanenza presso di lei, il figlio minore manifesta il desiderio di vedere il padre: tali principi sono ispirati davvero ad un concetto di bigenitorialità perfetta.