L’analisi comparativa del testo dell’art. 143 del codice civile, da un lato, e del disposto dell’art. 1 comma 11 della Legge n. 76/2016 (legge Cirinnà), impone di verificare come, per le unioni civili, il Legislatore non abbia previsto l’obbligo di fedeltà, tra i doveri da rispettare da parte della coppia omosessuale.
La fedeltà, invece, rappresenta ancora uno degli obblighi cui è chiamata a rispondere la coppia unita nel vincolo del matrimonio.
Questo discrimine può far sollevare obiezioni in merito alla palese disparità di trattamento, avuto riguardo a due fattispecie, quali il matrimonio e l’unione civile, che determinano conseguenze identiche per quanto ai diritti ed ai doveri che conseguono all’instaurazione del vincolo familiare (a parte le diversità in materia di adozione, non prevista dalla legge Cirinnà).
La Costituzione prevede un concetto comunitario di famiglia, non certo patriarcale e maschilista, ponendo l’accento sulla persona nella sua individualità. Individualità che si esprime, appunto, all’interno del contesto familiare.
La violazione dell’obbligo di fedeltà va a ledere un diritto proprio dell’individuo, generando un danno alla personalità, alla dignità ed all’onore del coniuge tradito.
L’evoluzione giurisprudenziale ha sì evidenziato che il “tradimento”, considerato in sé e per sé, non è elemento sufficiente per condurre ad un addebito della separazione coniugale, dovendo costituire la ragione determinante della crisi di coppia, ma questa considerazione certo non rappresenta una “deminutio”, avuto riguardo alla tutelabilità del danno cagionato nei confronti di chi subisce, suo malgrado, un tradimento all’interno del rapporto.
Danno, quello sovra evidenziato, che merita un risarcimento da parte dell’ordinamento, ricorrendone le circostanze.
E senz’altro il risarcimento dovrà sussistere tanto all’interno di una coppia eterosessuale, quanto all’interno di una coppia omosessuale.
Chi riferisce che una relazione omosessuale non possa essere connotata dal vincolo della fedeltà, risultando per sua natura intrinsecamente “mutevole” e non stabile, come invece sarebbe l’unione matrimoniale, ragiona in termini di totale lontananza dal dettato costituzionale e, prim’ancora, del disposto della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo.
Sia rammentato che fu la Corte europea dei diritti umani a riconoscere la parità di trattamento sia per le famiglie eterosessuali, sia per le famiglie omosessuali: con la decisione “Schalk e Kopf contro Austria” del 24 giugno 2010, i giudici di Strasburgo hanno riconosciuto che la nozione di “vita familiare” (e non solo quella di “vita privata”) ben può estendersi anche al menage di una coppia omosessuale:
“la Corte considera artificioso mantenere l’opinione secondo cui, a differenza della coppia eterosessuale, una coppia di partner dello stesso sesso non potrebbe godere di un diritto alla ‘vita familiare’ ai sensi dell’art. 8. Di conseguenza, il rapporto tra i ricorrenti, due conviventi omosessuali, uniti stabilmente alla stregua di una coppia di fatto, rientra nella nozione di ‘vita familiare’, così come sarebbe se si trattasse di una coppia di persone di sesso opposto che si trovassero nella stessa situazione”.
Su tali basi, il danno provocato all’interno di una coppia omosessuale in conseguenza di un tradimento, è pari al danno che la violazione del vincolo di fedeltà provoca all’interno di una coppia sposata.
Si deve pertanto concludere che, sebbene non inserito nel corpo letterale della Legge Cirinnà, l’obbligo di fedeltà deve essere riconosciuto come vivo e presente anche per le coppie omosessuali legate con unione civile.
A tal riguardo, chi scrive ritiene meritevole di approfondimento e non condivisibile l’opinione espressa da quella parte politica e da quei giuristi, che portano avanti l’idea di cancellare l’obbligo di fedeltà anche all’interno del testo dell’art. 143 del codice civile, ritenendo invece più “evoluta” la legislazione per le coppie omosessuali, così come risultante dalla Legge n. 76/2016.
Depositando un disegno di legge volto a mettere in pratica questa idea di cancellazione (che tuttavia non ha avuto seguito), la senatrice Cantini nel 2016 così parlava in merito al dovere di fedeltà coniugale:
“è un retaggio di una visione superata e vetusta del matrimonio. Il giudice non può fondare la pronuncia di addebito della separazione sulla mera inosservanza del dovere di fedeltà coniugale. Inoltre la legge 219 del 2012 ha superato la distinzione tra figli legittimi e naturali, che rese fondamentale all’epoca l’obbligo di fedeltà tra i coniugi”.
Così ancora la Professoressa Elena Falletti, insigne giurista:
“lo stralcio dell’obbligo di fedeltà da un lato configura la liberazione da un retaggio della tradizione e del controllo sociale, dall’altro è una conquista a favore della consapevolezza genuina e autentica del rispetto della persona con cui si condivide almeno una parte del proprio percorso esistenziale. Si vive insieme, si condividono gioie, impegni e responsabilità perché ci si sceglie e si è liberamente determinati a farlo e non perché si è obbligati da una previsione normativa e dalla relativa sanzione”
(stralcio di articolo tratto dalla rivista “Questione Giustizia”: http://questionegiustizia.it/rivista/pdf/QG_2017-2_20.pdf ).
Eppure, si torna a ribadire, proprio la tutela di chi, all’interno della coppia (eterosessuale od omosessuale che sia) risulti vittima di un ingiusto tradimento, impone, a parere dello scrivente, di mantenere l’obbligo di fedeltà quale caposaldo giuridico, non solo perchè esplicitamente inserito nel corpo dell’art. 143 del codice civile, ma perché in ogni caso presente, sebbene in via implicita, anche per le unioni civili, dovendo necessariamente esser fornita una lettura costituzionalmente orientata anche in favore delle coppie omosessuali e dei loro diritti insopprimibili, quale è la tutela della dignità, del decoro, dell’onore, dell’affettività.
L’accordo derivante dal matrimonio o dall’unione civile non può impegnare la coppia solamente verso conseguenze di tipo patrimoniale ed economico.
Esso vincola alla fiducia reciproca, chiedendo alla persona che decide di vivere con un’altra persona e di sancire giuridicamente tale convivenza, di fare un passo indietro rispetto alla propria individualità.
Il rispetto reciproco deve restare alla base di ogni unione consacrata dal diritto.
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