Nell’opera che ho il piacere di condividere, il pittore tedesco ottocentesco Peter Schwingen ritrae un’umile famiglia dei propri tempi, vittima dell’azione espropriativa di un insensibile signorotto borghese.
E’ sempre bene non aspettare l’ultimo momento in tema di pignoramento, rivolgendosi per tempo al proprio avvocato di fiducia!
In particolare, la procedura del pignoramento presso terzi appare oggi come uno degli strumenti più efficaci in mano al creditore, laddove il debitore, poco avveduto e negligente nell’adempimento delle proprie scadenze, sia proprietario di conti correnti, rapporti bancari, pigioni, rendite, affitti, o goda di uno stipendio o di entrate da rapporti professionali o contratti di mandato, e così via.
Il pignoramento presso terzi è l’iter giudiziale attraverso cui un creditore, insoddisfatto nel proprio diritto a vedersi corrispondere la somma dovuta dal debitore, procede con un’esecuzione forzata su beni o crediti del debitore, che si trovano in possesso di un terzo.
L’art. 2740 comma 1 del codice civile statuisce che il debitore risponde dell’adempimento delle obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri; al comma 2 sono previste eccezioni della responsabilità solo nei casi stabiliti dalla legge.
Ad esempio, la pensione è pignorabile per un quinto dell’importo netto, detraendo dall’assegno il cosiddetto “minimo vitale”, pari ad un punto e mezzo dell’assegno sociale.
Un tipo di pignoramento molto diffuso è quello su rapporto bancario: attraverso questa procedura il creditore soddisfa il proprio diritto ponendo un vincolo sul conto corrente (o un libretto, una cedola di pagamento o altro) di proprietà del debitore.
Può accadere che, una volta notificato l’atto di pignoramento al soggetto terzo (la banca, l’INPS, un datore di lavoro, e così via), quest’ultimo ometta di effettuare la dichiarazione di “capienza” nel termine previsto o, comunque, entro l’udienza fissata per la comparizione delle parti; in questa eventualità, o comunque in ogni caso in cui sorgano contestazioni sugli importi presuntivamente detenuti dal soggetto terzo, il creditore può chiedere, incidentalmente, al giudice dell’esecuzione, che venga aperta una fase, interna all’iter di pignoramento, volta ad accertare l’effettivo obbligo in capo al terzo pignorato, nonché l’ammontare preciso della somma da liquidare.
In questo periodo mi è capitato di dover pignorare le somme che un conduttore di un appartamento versa mensilmente ad una società, proprietaria dell’immobile, a titolo di locazione.
La persona del conduttore ha omesso di fare la dichiarazione di “capienza” e non si è presentata all’udienza fissata dal giudice dell’esecuzione.
Ho quindi chiesto accertamento dell’obbligo del terzo pignorato; sarà mio onere provare il rapporto di locazione, chiedendo anche ad Agenzia delle Entrate di esibire gli importi dovuti per il rapporto d’affitto in essere tra le parti.
All’esito dell’accertamento, il giudice non solo liquiderà le somme dovute dal terzo pignorato verso il creditore, ma graverà il terzo anche delle spese di giudizio, per aver ostacolato l’iter giudiziale e reso molto più onerose le attività di recupero del credito.
Il giudizio di accertamento dell’obbligo del terzo si è trasformato, in ragione di sostanziali modificazioni apportate dal legislatore nel 2012, in un giudizio “endo-esecutivo”, che appunto si conclude con un’ordinanza “sommaria”, impugnabile ai sensi dell’articolo 617 c.p.c., non più con una sentenza.
Così il testo dell’art. 549 c.p.c.:
Se sulla dichiarazione sorgono contestazioni, il giudice dell’esecuzione le risolve, compiuti i necessari accertamenti, con ordinanza. L’ordinanza produce effetti ai fini del procedimento in corso e dell’esecuzione fondata sul provvedimento di assegnazione ed è impugnabile nelle forme e nei termini di cui all’articolo 617
Il giudizio di accertamento effettuato dal Tribunale quale giudice dell’esecuzione, anche se non più legato ai formalismi di un procedimento “a latere” (come invece avveniva nel passato), ma incidentalmente inserito nell’iter di pignoramento, resta una verifica cognitiva, pur semplificata.
La prassi dei tribunali si svolge nel senso che in sede di udienza di comparizione delle parti ex art. 543 c.p.c. o a quella successiva cui il giudice dell’esecuzione abbia rinviato perché il terzo non è comparso in prima udienza (ai sensi dell’art. 548 comma II c.p.c. e sempre che non sussistano i presupposti del riconoscimento implicito), il creditore può esternare, anche tramite una dichiarazione a verbale, la propria volontà di procedere alla contestazione nei confronti della dichiarazione assente o non congruente o asseritamente inveritiera, così come riferita alla persona del terzo pignorato.
In quella sede, il creditore indicherà gli elementi di fatto e di diritto posti a fondamento della propria domanda di accertamento.
Oppure, il creditore potrà contestare immediatamente la dichiarazione riservandosi di specificare in un secondo momento gli elementi costitutivi della propria domanda di accertamento.
In quest’ultima evenienza, il giudice dell’esecuzione assegnerà al creditore procedente un termine per notificare una memoria, sia alla parte debitrice, sia al terzo pignorato; costoro avranno diritto di replicare entro un termine a difesa concesso loro dal Tribunale.
Quanto alla distribuzione degli oneri della prova nel giudizio di accertamento dell’obbligo del terzo, incombe sul creditore procedente (di fatto colui che formula la domanda giudiziale, dunque l’attore in senso lato), fornire la prova in ordine alla esistenza ed all’oggetto dell’obbligazione del terzo verso il debitore.
Invece grava sul terzo pignorato l’onere della prova dell’intervenuto verificarsi di un fatto estintivo o modificativo della pretesa attorea, oltre alla sua anteriorità rispetto alla notifica dell’atto di precetto.
Va detto che già l’ultimo comma dell’art. 548 c.p.c. prevede casi nei quali si considerano come pienamente provati (ai fini del giudizio in corso), tanto l’esistenza, quanto l’ammontare del credito in capo al terzo pignorato: infatti, il legislatore statuisce che nel caso in cui il terzo pignorato non compaia neppure alla seconda udienza di rinvio, oppure, comparendo, rifiuti di fare la dichiarazione, il credito pignorato o il possesso del bene di appartenenza del debitore, nei termini indicati dal creditore, si considera non contestato ai fini del procedimento in corso e dell’esecuzione fondata sul provvedimento di assegnazione se l’allegazione del creditore consente l’identificazione del credito o dei beni di appartenenza del debitore in possesso del terzo.
La norma richiede in ogni caso un’allegazione specifica in capo alla parte creditrice, non limitando la mancata dichiarazione o il rifiuto nella dichiarazione, ad un’ammissione implicita o “ficta confessio”.
Autorevole dottrina ritiene ammissibili, quali prove idonee per formare il convincimento del giudice dell’esecuzione, anche “elementi conoscitivi in sé inidonei a fondare una decisione in sede di ordinaria cognizione”; dunque, “non soltanto documenti atipici prodotti o esibiti (quali ad esempio scritture provenienti da terzi, certificazioni amministrative di vario genere, atti notori, scritture che non rientrano nelle tipologie legali, etc.), ma anche prove orali assunte con modalità difformi da quelle previste dal codice di rito (si pensi all’assunzione di informazioni senza la previa articolazione dei capitoli e senza necessità del giuramento del terzo, o mediante redazione di un verbale in forma sintetica); e, più in generale, di ogni altro elemento in grado di fornire al giudice conoscenze intorno ai fatti allegati (interrogatorio libero delle parti, prove aliunde formata, etc.)”.
(così Tota, “Individuazione e accertamento del credito nell’espropriazione forzata presso terzi”, Napoli, 2014, 294-295, richiamato nell’eccellente saggio del Dott. Alessandro Auletta, in “inexecutivis.it”, consultabile in questo link)
A livello di attività accertativa da svolgere, la procedura dunque non si discosta dalla natura del previgente giudizio di accertamento dell’obbligo del terzo (anteriore alla riforma del 2012).
Il giudice dell’esecuzione viene investito di un momento autenticamente cognitorio, le cui risultanze, ad ogni modo, possono essere soggette a riforma in caso di opposizione agli atti esecutivi ex art. 617 c.p.c., all’interno di un giudizio che invece si svolgerà a cognizione piena.
Rimane salvo il fatto che l’ordinanza di accertamento produce effetti esclusivamente ai fini del procedimento in corso e dell’esecuzione fondata sul provvedimento di assegnazione.
Al contrario, l’ordinanza del giudice dell’esecuzione circa gli obblighi in capo al terzo pignorato, non produce effetti propri del giudicato ex art. 2909 del codice civile.
L’accertamento compiuto nell’incidente di esecuzione attiene soltanto all’assoggettabilità del credito pignorato all’iter espropriativo promosso dal creditore, pertanto resta efficace nei rapporti tra il creditore procedente ed il terzo pignorato e, come tale, assume rilievo solamente ai fini della procedura esecutiva in corso.
Ne discende che non potrebbe ravvisarsi litispendenza tra un procedimento di accertamento dell’obbligo del terzo ed un eventuale ipotetico ulteriore giudizio sul medesimo rapporto obbligatorio, ad esempio in essere tra la persona del debitore ed il terzo pignorato.