Molte testate giornalistiche in questi giorni hanno richiamato un’importante sentenza del Tribunale del Lavoro di Foggia (la numero 4203 del 2019), che ha riconosciuto il diritto di una convivente omosessuale a percepire la pensione di reversibilità, successivamente al decesso della partner.
Tale diritto, precisava il Tribunale di Foggia, doveva considerarsi pieno ed intangibile anche nel caso in cui il decesso del partner convivente fosse avvenuto in epoca antecedente al 5 giugno 2016, data dell’entrata in vigore della Legge Cirinnà.
Una volta certificato attraverso l’escussione testimoniale e l’esame delle ulteriori risultanze istruttorie, che tra i due partner fosse esistita una stabile e duratura comunione di vita e di affetto (tant’è che addirittura la de cuius disponeva in vita delle proprie sostanze, nominando la compagna quale propria erede universale), il Magistrato del Lavoro di Foggia non ha avuto difficoltà a riconoscere il diritto alla percezione della pensione di reversibilità in favore della partner superstite.
Dopo l’entrata in vigore della famosa Legge n. 76 del 2016, che ha segnato una svolta epocale nel campo dei diritti civili e della persona, anche alle coppie conviventi dello stesso sesso è stata riconosciuta la possibilità di ufficializzare i legami affettivi e di avere diritti e doveri analoghi a quelli matrimoniali, e ciò pure nell’ipotesi di morte di uno dei due conviventi.
Da tale postulato discende anche il diritto alla pensione di reversibilità.
L’INPS ha evidenziato, con il messaggio n. 5171 del 2016, che occorre equiparare a fini previdenziali i coniugi, legati appunto in matrimonio, e le persone unite in unione civile.
D’altra parte, il comma 20 dell’articolo 1 della Legge Cirinnà così già evidenzia:
«Al solo fine di assicurare l’effettività della tutela dei diritti e il pieno adempimento degli obblighi derivanti dall’unione civile tra persone dello stesso sesso, le disposizioni che si riferiscono al matrimonio e le disposizioni contenenti le parole «coniuge», «coniugi» o termini equivalenti, ovunque ricorrono nelle leggi, negli atti aventi forza di legge, nei regolamenti nonché negli atti amministrativi e nei contratti collettivi, si applicano anche ad ognuna delle parti dell’unione civile tra persone dello stesso sesso. La disposizione di cui al periodo precedente non si applica alle norme del codice civile non richiamate espressamente nella presente legge, nonché alle disposizioni di cui alla legge 4 maggio 1983, n. 184 (in tema di affido e adozione, n.d.r.)».
Il Tribunale di Foggia, richiamando peraltro una sentenza già resa in materia dalla Corte di Appello di Milano (la numero 1005 del 2018), non ha fatto altro che riconoscere i diritti propri del partner eterosessuale superstite – così come sanciti ex lege per il coniuge unito in matrimonio – anche in favore del partner omosessuale superstite, e ciò a prescindere dall’entrata in vigore della Legge Cirinnà.
Questo perché l’unione stabile omosessuale rientra tra le formazioni sociali previste e tutelate dall’art. 2 della Costituzione.
Per “formazione sociale”, nucleo costituzionalmente protetto, deve intendersi infatti ogni forma di comunità, semplice o complessa, idonea a consentire e favorire il libero sviluppo della persona nella vita di relazione, nel contesto di una valorizzazione del modello pluralistico; in tal senso, la Sezione Prima della Corte di Cassazione, con sentenza n. 4184 del 2012, richiamando a sua volta la sentenza della Corte Costituzionale n. 138/2010, ha affermato che anche l’unione omosessuale, intesa come stabile convivenza tra due persone dello stesso sesso cui spetta il diritto fondamentale di vivere liberamente una condizione di coppia, deve vedersi riconosciuti tutti i diritti e tutti i doveri propri delle coppie consacrate nel matrimonio.
Va detto che, intervenuta la Legge Cirinnà, laddove le coppie omosessuali vorranno far valere il diritto del partner superstite alla percezione della pensione di reversibilità, dovranno ora consacrare la loro unione nell’istituto dell’unione civile.
Così come la giurisprudenza della Suprema Corte non ravvisa il diritto alla percezione dell’emolumento previdenziale in favore del partner superstite eterosessuale, non unito in matrimonio (cfr. Cassazione 22318/2016), allo stesso modo dovrà ritenersi doveroso, anche per un partner omosessuale superstite, al fine di maturare i diritti propri del rapporto stabile di “coppia”, aver vissuto una relazione formalizzata tramite unione civile.
Parlo della Sentenza del Tribunale del Lavoro di Foggia sul mio canale youtube, raggiungibile a questo link:
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