L’operatore socio-sanitario è una figura professionale di supporto all’assistenza sanitaria, con competenze e non solo sanitarie, ma anche sociali.
I campi nei quali può esser svolta la professione sono quelli ospedalieri e tutti i diversi livelli delle unità socio-sanitarie dislocate sul territorio, come le ASL, gli istituti pubblici di assistenza e beneficenza e, per quanto al settore privato, le cliniche, le comunità, i servizi di integrazione scolastica, i servizi di assistenza domiciliare.
Ne parlo in questo video, inserito sul mio canale YouTube:
Attività di semplice attuazione possono essere svolte dall’operatore socio-sanitario in autonomia, mentre situazioni complesse di rischio specifico o di confine con le aree di competenza del personale sanitario (infermieri, ostetriche) e del personale sociale (assistenti sociali), sono svolte in collaborazione o su indicazione di questi ultimi, e comunque in applicazione dei piani di lavoro e dei protocolli operativi predisposti dal personale sanitario e sociale preposto.
Tra i compiti attribuiti agli “OSS” vi sono senz’altro la somministrazione, per via naturale, della terapia prescritta e l’esecuzione della terapia intramuscolare e sottocutanea su specifica pianificazione infermieristica, come pure i massaggi cardiaci esterni, l’esecuzione di pratiche di respirazione artificiale, o, ancora, la rilevazione e l’annotazione dei parametri vitali della persona, la preparazione e la disinfezione del materiale medico.
Il tutto da attuarsi conformemente alle direttive del responsabile dell’assistenza infermieristica od ostetrica, o sotto la loro supervisione.
Ulteriori attività di tipo “attuativo” proprie dell’operatore socio-sanitario sono l’esecuzione dei bagni terapeutici, impacchi medicali e frizioni; la raccolta di escrezioni e secrezioni a scopo diagnostico; le medicazioni semplici, i bendaggi, i clisteri; la mobilizzazione dei pazienti non autosufficienti per la prevenzione di decubiti; il trasporto del materiale biologico a fini diagnostici; la sorveglianza delle fleboclisi, conformemente alle direttive del responsabile dell’assistenza infermieristica o sotto la sua supervisione.
In tema di colpa professionale, il concreto e personale espletamento di attività da parte dell’operatore socio-sanitario, comporta pur sempre l’assunzione diretta di una posizione di garanzia nei confronti del paziente, condivisa con quella che fa capo a chi impartisce le direttive e secondo i rispettivi ambiti di pertinenza e di incidenza.
Sicuramente nulla potrà essere imputabile all'”OSS”, in materia di civile responsabilità per un danno eventualmente subito da un paziente, qualora il nocumento derivi dalla cattiva organizzazione della struttura sanitaria.
Come ha avuto modo di chiarire la Sezione Terza della Cassazione, con la nota Sentenza n. 6689 del 2018, in virtù del contratto che si instaura solamente tra paziente ed ospedale, questo deve fornire a chi si affida alle cure della struttura una prestazione assai articolata, definita genericamente di “assistenza sanitaria”; tale prestazione ingloba al proprio interno, oltre all’attività principale medica, anche una serie di obblighi “di protezione” ed accessori.
Oltre che osservare le normative in tema di dotazione e struttura delle organizzazioni d’emergenza, l’ospedale deve tenere in concreto, per il tramite dei propri operatori, condotte adeguate alle condizioni del paziente ed in rapporto alle precarie disponibilità di mezzi e risorse, adottando di volta in volta le determinazioni più idonee a scongiurare l’impossibilità di salvataggio del soggetto leso.
Ciò comporta che si può avere una responsabilità contrattuale della struttura verso il paziente danneggiato non solo per il fatto del personale medico dipendente, ma anche del personale ausiliario, nonché della struttura stessa, sussistendo un’insufficiente od una inidonea organizzazione.
Ma questo non estende affatto la responsabilità in capo al singolo professionista ausiliario, laddove non vengano enucleate nello specifico, condotte personali fonte di danno circostanziato.
Nello svolgimento della professione, l’operatore socio-sanitario è inevitabilmente esposto a fattori di rischio, che rappresentano una minaccia non solo per i pazienti, ma anche per il personale e l’intero ambiente di lavoro.
Mi preme evidenziare, in tal senso, che diverse strutture private tendono ad applicare all’operatore socio sanitario, le generiche disposizioni del contratto collettivo di lavoro del settore “multiservizi”.
Sono già intervenute sentenze che hanno evidenziato la non riferibilità a tale categoria professionale, di tale disciplina contrattuale.
Ad esempio, il TAR Sicilia Sezione di Catania, con Sentenza n. 2889 del 2019 ha rilevato che il contratto collettivo Servizi Integrati-Multiservizi trova applicazione per tutte le attività di pulizia e ausiliarie di supporto, relative ad interventi sull’ambiente, nulla esplicitando, invece, quanto alle attività inerenti al soddisfacimento dei bisogni primari della persona (compito precipuo dell’OSS).
E’ invece corretta, ad esempio, l’attribuzione all’operatore socio-sanitario, della disciplina contrattuale delle cooperative del settore socio-assistenziale.
Facendo una comparazione “economica” fra il CCNL multiservizi e quello delle cooperative socio assistenziali, può osservarsi che il primo contempla fra gli elementi retributivi aggiuntivi il cosiddetto “superminimo” (una voce espressione dell’autonomia negoziale, il cui riconoscimento dipende da una decisione unilaterale dal datore di lavoro, con accettazione tacita da parte del lavoratore), mentre il contratto collettivo delle cooperative sociali contempla la “pronta disponibilità” (la quale implica una somma a titolo di ristoro del riposo sacrificato), non prevista nel contratto collettivo multiservizi.
Senz’altro sono applicabili agli “OSS” i contratti sanità pubblica e sanità privata.
In tal senso, importante è riconoscere l’oggettivo disagio patito da questa categoria professionale, in relazione al quale è doveroso individuare l’indennità retributiva che ne compensa il maggior onere professionale, a livello di contrattazione nazionale, o territoriale, o aziendale.
E’ appena il caso di ricordare che questi operatori subiscono, oltre ai rischi comuni dei lavoratori inseriti all’interno delle strutture sanitarie (ad esempio, rischio da emoderivati, da contatti, da malattie trasmissibili all’interno dell’ospedale), ulteriori fattori di rischio, quali quello da videoterminale, quello psicologico (sindrome di burn out, disturbo post-traumatico da stress), come pure il rischio di atti di violenza che purtroppo sono sempre più frequenti, come tanti casi di cronaca purtroppo testimoniano.
L’operatore socio-sanitario che intenda tutelare la propria posizione professionale e rivendicare la tutela dei propri diritti, deve rivolgersi al proprio legale di fiducia, al fine di individuare l’esatto inquadramento contrattuale ed aver contezza di tutte le indennità proprie della funzione professionale che ricopre.
Tanto più nella presente situazione di emergenza sanitaria da coronavirus, la figura professionale dell’OSS deve trovare tutela per l’insostituibile servizio assicurato in condizioni di estrema difficoltà e massima tensione psicofisica.
Un secondo solo …….
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