Maltrattamenti in famiglia: condannato il compagno violento nonostante la ritrattazione della donna

L’Inquisizione nacque nel Dodicesimo Secolo per opera della Chiesa, al fine di indagare e porre al bando tutti i divulgatori ed i seguaci di pensieri e ideali eretici, o comunque contrari alla dottrina di Roma.

Pagani, maghi, uomini dediti alla scienza, ma anche donne semplicemente sospettate di stregoneria, venivano sottoposti alle serrate indagini da parte dell’inquisitore ecclesiastico, anche in seguito ad una denuncia generica o persino calunniatoria, tramite tecniche di “ricerca della verità” che spesso sfociavano nella negazione dei più semplici diritti umani, quali la tortura.

In questo clima di terrore, lo stesso Galileo Galilei nel 1633 dovette suo malgrado ritrattare le proprie illuminanti teorie scientifiche relative al sistema eliocentrico.

Allo stesso modo, numerosissime donne, ritenute streghe dedite a riti satanici, venivano costrette all’abiura dopo infinite atrocità.

Matteson esame di una strega

Gran fascino riveste l’opera del 1853 dell’artista americano Tompkins Harrison Matteson denominata “Esame di una strega” custodita nel Peabody Essex Museum a Salem, nel Massachusetts.

La donna viene posta al centro degli occhi ignoranti e morbosi di popolani, donne avide di scandalo, religiosi, ma soprattutto del tetro inquisitore, freddo nel riportare gli esiti del suo personale esame su un documento processuale.

Che tante donne dovettero ricorrere alla ritrattazione di pensieri “eretici”, invero neppure mai appartenuti alla propria persona, non meraviglia affatto, tali erano i metodi di persuasione dell’istruttoria ecclesiastica.

Ma ancora oggi numerosi episodi di ritrattazione vengono posti al vaglio del magistrato, in casi di conflitti familiari, soprattutto allorquando esistono accuse di violenza e di maltrattamenti in famiglia.

Qualche giorno fa la Cassazione si è dovuta nuovamente occupare di una vicenda di ritrattazione da parte di una donna nei confronti del marito.

La vicenda è stata trattata dalla Sezione Sesta Penale e definita con Sentenza n. 24027 del 24 agosto 2020.

Dapprima la donna querelava l’uomo per maltrattamenti contro la propria persona, i figli minori, la madre e la sorella; dopodiché faceva un passo indietro in sede di testimonianza resa in corso di istruttoria processuale.

La difesa dell’uomo ricorreva davanti ai Supremi Giudici rilevando che la moglie dell’imputato avesse ritrattato le accuse, sostenendo di essersi inventata tutto perché asseritamente “indispettita” dal comportamento dell’uomo, che lavorava come pastore tornando a casa la sera maleodorante e che la infastidiva, chiedendole di fare commissioni in sua vece.

In ragione di questo “fastidio”, e sempre stando alla linea della difesa, la donna si sarebbe decisa anche ad “istruire” i figli, affinché questi ultimi accusassero il padre.

Ancora la difesa dell’imputato evidenziava che la ritrattazione della donna non fosse né “illogica” né “incredibile”, ma, tenuto anche conto della “provenienza familiare della persona offesa” (figlia di un signore con trascorsi delinquenziali), erano le primigenie dichiarazioni accusatorie, sempre a dire dell’avvocato dell’imputato, ad essere frutto di una pianificazione artificiosa.

Ciò anche perché la donna, ancora a dire della difesa dell’imputato, avrebbe sospettato anche di un’infedeltà coniugale. 

Peraltro, le accuse non venivano sorrette da documentazione medica attestante le violenze subite.

I Supremi Giudici ritenevano il ricorso inammissibile perché basato su motivi generici e manifestamente infondati.

Essi anzitutto evidenziavano che le dichiarazioni della persona offesa possono essere poste a fondamento dell’affermazione della penale responsabilità dell’imputato solo previa verifica, più penetrante e rigorosa rispetto a quella cui vengono sottoposte le dichiarazioni dei testimoni, e corredata da idonea motivazione circa la credibilità soggettiva del dichiarante e l’attendibilità intrinseca del suo racconto.

Non rileva, dunque, che non siano stati allegati referti medici a comprova delle aggressioni fisiche descritte dalla persona offesa, qualora le affermazioni della stessa soggiacciono alla verifica di cui sopra.

Ebbene, la Cassazione verificò che le asserzioni della donna, in uno con quelle rese dai figli minori (acquisite in sede di incidente probatorio) fossero convergenti e restituissero la prova di un regime familiare, quale quello instaurato dall’imputato, funzionale alla sopraffazione dei congiunti, ispirato alla violenza che veniva espressa con pestaggi e continue minacce e che veniva accompagnata da epiteti ingiuriosi e volgari.

Il regime di vita imposto dall’uomo alla denunciante ed ai figli minori si esplicava in aggressioni fisiche, botte anche a mezzo di arnesi, quali fruste e tubo delle capre, minacce di morte, ingiurie ed improperi, integrando, per la ricorrenza delle condotte abusanti e lo stato di prostrazione che ne era derivato alla donna ed ai piccoli, il reato di maltrattamenti.

Tale situazione dunque aveva cagionato un protratto stato di soggezione, aggravato dalla circostanza che la donna non aveva trovato conforto nella propria famiglia di origine.

Va evidenziato, a tale ultimo riguardo, che non infrequenti sono gli allontanamenti da parte delle famiglie di origine, per paura, per ignoranza o per un senso di “rivalsa” verso la figlia che andava a vivere con un uomo già bollato come inetto, incapace e violento.

Condotte, queste, deprecabili e figlie di una situazione d’immobilismo culturale che ci si augura possa essere cancellato per sempre. 

Tornando alla procedura all’attenzione dei Supremi Giudici, in merito alla ritrattazione fatta dalla donna in corso di processo, il “dietro-front” dell’accusante e, con esso, la narrazione resa dalla difesa dell’imputato non venivano ritenuti credibili.

A tal riguardo la Cassazione evidenziava che, laddove la donna avesse ritenuto il marito semplicemente insopportabile e maleodorante, o laddove avesse sospettato un tradimento del medesimo, come riportato dall’avvocato dell’imputato, ella si sarebbe limitata a lasciare l’uomo, senza di certo ricorrere alla denuncia penale.

Veniva dunque confermata la condanna dell’uomo ad anni quattro di reclusione, considerate anche la gravità dei fatti e la reiterazione delle condotte illecite.

Un secondo solo ….…     

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