E’ giusto il licenziamento di un lavoratore che pratica sconti alla clientela di un esercizio commerciale?

L’Art Institute di Chicago custodisce l’opera I Nottambuli di Edward Hopper datata 1942, tuttora attualissima nella sua ricostruzione ambientale, dal valore fortemente metaforico.

Osserviamo un cameriere malinconico, intento nel sistemare il locale silenzioso nel bel mezzo della notte metropolitana, mentre mesti avventori del bar restano incupiti tra i propri pensieri, ingrigiti nel loro profondo isolamento, che stride ancor più nel contesto del locale pubblico.

Fuori, intanto, la città è ferma, paralizzata, non tira neppure un alito di vento.

Un dipinto, questo, che potrebbe benissimo esser figlio di questo amaro 2020, che ci ha visti chiusi in un isolamento psichico, prima ancora che materiale, mentre fuori il mondo si è fermato.

Chissà se quel cameriere tratteggiato da Hopper avrà concesso uno sconto sui drinks consumati dai tristi clienti notturni, quasi a voler tentare un approccio emotivo, aprendo una breccia nella solitudine divampante in tutto il quadro.

I nottambuli Hopper

Un caso di “sconto” sul prezzo dell’alcoolico è stato oggetto di una recentissima pronuncia della Suprema Corte.

Un dipendente di una grande catena di esercizi commerciali, addetto ad un punto vendita della provincia di Venezia, aveva venduto, in tre diverse occasioni, ad un importante cliente, alcune bottiglie di spumante ad un prezzo inferiore a quello di vendita al pubblico, al fine di dimostrare benevolenza verso un cliente storico.

Venuta a conoscenza della decisione intrapresa dal dipendente, la società datrice di lavoro intimava licenziamento per giusta causa al proprio addetto alla vendita, ritenendo la condotta contraria a principi di diligenza e di fiducia.

I giudici di primo e di secondo grado ritenevano che praticare uno sconto ad un cliente importante della società, il quale aveva in precedenza fatto acquisti rilevanti presso il medesimo punto di vendita, rientrasse nei poteri del dipendente, cui la datrice di lavoro aveva attribuito specifiche mansioni di gerenza; ritenevano altresì che la condotta del lavoratore fosse nell’esclusivo interesse del datore di lavoro.

Peraltro, dalle operazioni di vendita con applicazione dello sconto, il dipendente non aveva riportato alcun vantaggio personale, né lo aveva procurato ad un proprio conoscente, come invece contestato dalla società.

Per di più, era emerso dall’istruttoria che, dopo una prima vendita con “sconto”, l’operato del lavoratore era stato ratificato dal dirigente, il quale aveva autorizzato l’applicazione dei minori prezzi di vendita dello spumante in questione.

Pertanto, il licenziamento veniva dichiarato illegittimo per insussistenza del fatto illecito, con conseguente diritto del lavoratore ad essere reintegrato nel posto di lavoro, in applicazione del quarto comma dell’art. 18 della Legge n. 300 del 1970, come novellato dalla legge n. 92 del 2012.

La società datrice di lavoro ricorreva avanti alla Suprema Corte e la causa veniva definita dalla Sezione Lavoro con Sentenza 22074 del 13 ottobre 2020.

L’impresa ricorrente rilevava che la figura professionale propria del dipendente, gerente di punto vendita, non prevedeva la possibilità di praticare sconti alla clientela, ancorché si tratti di clientela abituale e in presenza di particolari condizioni di interesse per l’azienda.

Sosteneva altresì che il proprio lavoratore avesse il compito di verificare che i prodotti venissero venduti nel rispetto dei prezzi di vendita determinati dall’azienda, in quanto, trattandosi di società di notevoli dimensioni con numerosi punti vendita dislocati sul territorio, la politica dei prezzi viene gestita centralmente, a livello dirigenziale, essendo necessario un elevato grado di autonomia decisionale.

I Giudici di legittimità evidenziavano che l’art. 100 del CCNL del Turismo – Commercio applicato ratione temporis, indicava che appartengono al livello proprio del dipendente licenziato (il primo), i lavoratori “con funzioni ad alto contenuto professionale, anche con responsabilità di direzione esecutiva, che sovraintendono alle unità produttive .., con carattere di iniziativa e di autonomia operativa nell’ambito della responsabilità ad essi delegate”.

Ebbene, la datrice di lavoro non aveva in alcun modo chiarito perché sarebbe errata l’interpretazione offerta dalla Corte di appello secondo cui la condotta, nei termini in cui era stata ricostruita in istruttoria, non esulava dai poteri di autonomia e di iniziativa operativa propri del livello di inquadramento posseduto dal lavoratore.

Peraltro, la questione posta all’attenzione dei Supremi Giudici con l’unico motivo di ricorso non rivestiva neppure carattere decisivo, poiché non era solo sulla base dell’interpretazione della qualifica di inquadramento e dei poteri attribuiti contrattualmente al dipendente che la Corte di appello aveva valutato l’illegittimità del licenziamento.

I giudici di merito avevano puntualmente osservato che la datrice di lavoro aveva ricondotto, nella lettera di contestazione, i fatti ascritti al lavoratore all’interno di un altro articolo del contratto collettivo (nello specifico, l’art. 225), che riguardava la grave violazione dei doveri d’ufficio, di tenere una condotta conforme ai doveri civici, di conservare diligentemente le merci ed i materiali e di cooperare alla prosperità dell’impresa.

Ebbene, la Corte d’Appello riteneva che la condotta effettivamente tenuta dal lavoratore, non solo non corrispondeva in termini concreti a quelli ascritti, ma non era neppure assibilabile alla fattispecie di illecito ipotizzata dalla parte datoriale o ad altre ipotesi contrattualmente tipizzate di licenziamento, né era comunque idonea a ledere irrimediabilmente il vincolo fiduciario.

Circostanze, queste, fatte proprie anche dai Supremi Giudici.

Tanto più che era intervenuta una formale “ratifica”, per una delle operazioni di scontistica compiute dal dipendente, da parte di un dirigente aziendale.

All’evidenza, l’avere ratificato tale operato è comportamento che collide con l’assunto della giusta causa del licenziamento.

Ne discendeva la perentoria reiezione del ricorso proposto dalla datrice di lavoro, con la conferma della reintegra del lavoratore all’interno dell’apparato aziendale.

Un secondo solo ….…     

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