La nostra educazione familiare, prima ancora che degli impulsi promananti dalla religione cristiana, è figlia degli ideali e delle virtù arcaiche delle più devote gens dell’antica Roma, come la fede, la lealtà, l’onestà, la verità.
La matrona romana Cornelia, figlia dell’arcinoto Scipione l’Africano trionfatore su Annibale, era una donna che faceva delle virtù la propria linea di condotta quotidiana.
Al carattere integerrimo e compito, la donna univa una dedizione ed un amore smisurato per i suoi due figli Tiberio e Caio. Lo storico Valerio Massimo narra che alla presenza di un’altra matrona dagli abiti sfarzosi e portatrice di gioielli di stupenda fattura, Cornelia volle evidenziare che gli unici gioielli che avrebbe portato sarebbero stati i suoi due figli:
“Haec ornamenta mea”, questi sono i miei gioielli
Nulla di più prezioso poteva vantare quella madre rispetto all’orgoglio ed alla luce che potevano recare i suoi figli.
Questo episodio molto famoso venne riportato in diversi dipinti, tra i quali un’opera molto elegante, datata 1870 e realizzata dalla pittrice statunitense Elizabeth Gardner Bouguereau, cui voglio rendere omaggio in questo mio intervento.
Qui l’artista è abile nel confrontare la donna vanagloriosa e vanitosa, amante dei gioielli e dello sfarzo, e l’umile Cornelia, che esibiva, di contro, i propri figli quali gioielli insuperabili.
Che l’amore e la dedizione per i figli siano uno degli scopi di vita di un genitore, non c’è dubbio.
Che tuttavia questo amore genitoriale vada a sfociare in momenti di sopraffazione del figlio verso la persona del padre o della madre, non è più una virtù propria delle più nobili tradizioni romane, anzi è fonte di gravissimo danno per la famiglia tutta.
Così, una ferita all’interno della famiglia potrebbe addirittura nascere per opera di un figlio troppo invadente nella sfera della relazione tra i due genitori.
Con un’Ordinanza del 5 agosto 2020 (numero 16698) la Sezione Prima Civile della Corte di Cassazione ha trattato proprio di un caso di giudizio di separazione coniugale che traeva le mosse non già dalla volontà di uno dei due coniugi, ma dalla volontà di un figlio.
La domanda di separazione veniva infatti formalizzata dal marito nei confronti della donna, ma nel corso dell’istruttoria emergeva chiaramente che l’iniziativa dell’uomo veniva coltivata per volere del figlio, divenuto ostile verso la madre, piuttosto che per volere del coniuge stesso.
I Supremi Giudici anzitutto evidenziavano un principio di diritto indefettibile, in ragione del quale in tema di separazione tra coniugi, la situazione di intollerabilità della convivenza (alla base del provvedimento del giudice autorizzativo dei coniugi a vivere separati) deve essere intesa in senso “soggettivo”, cioè riferita alla semplice volontà di entrambe le parti, o anche una sola di esse; non è infatti necessario che sussista una situazione di conflitto riconducibile alla volontà di tutti e due i coniugi, ben potendo la frattura dipendere dalla condizione di disaffezione e distacco di uno solo di essi.
Tali sentimenti di disaffezione e distacco sono verificabili per la Cassazione in base a fatti obiettivi, come la stessa presentazione del ricorso davanti al Tribunale; allo stesso modo, il successivo comportamento processuale, con particolare riferimento alle negative risultanze del tentativo di conciliazione che promuove il Presidente in prima udienza, debbono far concludere per l’intervenuta cessazione di quel “principio del consenso” che caratterizza ogni vicenda del rapporto coniugale.
Nel caso sottoposto all’esame dei giudici di Piazza Cavour, tuttavia, veniva accertato che non solo la moglie si era opposta alla domanda di separazione, paventando che il consorte vi fosse stato spinto dal figlio, tanto che chiedeva accertarsi la sua libera volontà, ma che lo stesso marito aveva ammesso che il figlio lo aveva portato via di casa contro la sua volontà, quasi “a forza”, e che “avrebbe voluto tornare a vivere con la moglie”, circostanze certamente incompatibili con la intollerabilità della convivenza, certamente non ravvisabile – stante il tenore dell’articolo 151 del codice civile – nei “litigi tra i due figli”.
Ne derivava il rigetto della domanda di separazione, per mancanza di volontà da parte dello stesso soggetto che quella separazione aveva richiesto!