E’ straordinaria la tavola affrescata “La Divina Commedia illumina Firenze” del pittore quattrocentesco Domenico Di Michelino, datata 1465 e custodita a Firenze nella Cattedrale di Santa Maria del Fiore.
Dante sorregge su mano quello che probabilmente doveva essere il manoscritto originale della sua Commedia, accingendosi a declamarne i versi e rivelando, con l’altra mano, le posizioni dell’Inferno, del Purgatorio e del Paradiso, che accolgono le anime degli uomini a seconda dei loro comportamenti, più o meno impeccabili, tenuti durante la vita terrena.
La visione è completata, ai lati dell’Alighieri, da una veduta dell’amata città di Firenze in prospettiva.
All’interno del Canto XXIX della Divina Commedia, il poeta fiorentino, viandante tra i seminatori d’odio dannati negli inferi, rammenta la storia dello zio paterno Geri Del Bello, che rimase vittima delle guerre intestine tra la famiglia Alighieri e la famiglia dei Sacchetti.
Così il Sommo Poeta:
… “Dentro a quella cava …
dov’ io tenea or li occhi sì a posta,
credo ch’un spirto del mio sangue pianga
la colpa che là giù cotanto costa”…Allor disse ‘l maestro: «Non si franga
lo tuo pensier da qui innanzi sovr’ ello.
Attendi ad altro, ed ei là si rimanga;ch’io vidi lui a piè del ponticello
mostrarti e minacciar forte col dito,
e udi’ ‘l nominar Geri del Bello.
E’ il Maestro Virgilio a scorgere, tra i dannati, il parente di Dante ai piedi di un ponticello, mentre lo stesso Geri Del Bello, accortosi della presenza del nipote, lo mostra agli altri dannati profferendo minacce.
L’Alighieri rammenta dunque la triste sorte di questo parente, il quale veniva chiamato a scontare i propri peccati, conseguenti alle sanguinose faide familiari, con un prezzo davvero caro, venendo infatti catapultato tra le fiamme dell’Inferno.
Ed è proprio da questi passi della Divina Commedia che nasce il famoso detto popolare:
“chi è causa del suo mal pianga se stesso”.
In pratica, per quanto all’episodio dantesco, chi è autore di nefandezze e dissidi nel mondo dei vivi, non commiseri poi la triste e dolorosa sorte della propria anima, una volta morto.
Traslando questo detto di saggezza popolare nel mondo del diritto, non si lamenti per i danni sofferti colui che ne è stato l’autore, o comunque il co-artefice, con la propria condotta negligente.
Un’applicazione davvero efficace di questo antico proverbio volgarizzato, viene operata in modo preciso dalla Suprema Corte, con Ordinanza 30069 resa dalla Sesta Sezione Civile e pubblicata l’ultimo dell’anno, il 31 dicembre 2020.
A ricorrere davanti ai giudici di legittimità era Poste Italiane, che in sede d’appello venne riconosciuta responsabile per aver pagato, come istituto negoziatore, un assegno proveniente da una compagnia assicurativa, in favore di un soggetto non legittimato.
Il giudice d’appello attribuiva la responsabilità unica in capo all’ente pagante, il quale, a fronte di un assegno di traenza e di un soggetto non cliente che lo poneva all’incasso, da essa non conosciuto, avrebbe dovuto porre in essere specifiche cautele, al fine di riscontrare in modo oggettivo la corrispondenza tra il soggetto indicato come prenditore e colui che presentava il titolo all’incasso, identificando in modo inequivoco quest’ultimo.
Tale interpretazione, tuttavia, non aveva considerato la circostanza che quell’assegno veniva spedito per l’incasso dalla compagnia assicurativa, con destinazione la residenza del beneficiario, a mezzo “posta ordinaria”, e non tramite “posta assicurata”, di fatto affidando la spedizione all’alea di una corrispondenza semplice, priva di garanzie.
Preso atto di tale lacuna, la Cassazione non poteva non richiamare principi già ampiamente affermati, che tendono ad evidenziare come la scelta di avvalersi della posta ordinaria per la trasmissione dell’assegno al beneficiario, pur in presenza di altre forme di spedizione (posta raccomandata o assicurata) o di strumenti di pagamento ben più moderni e sicuri (quali il bonifico bancario o il pagamento elettronico), si traduce nella consapevole assunzione di un rischio da parte del mittente.
Ebbene, tale assunzione di rischio non può non costituire oggetto di valutazione ai fini dell’individuazione della causa dell’evento dannoso: infatti, in questo modo il danneggiato si espone volontariamente ad un rischio superiore, come è palesato dalle regole sulla regolamentazione dei servizi postali, le quali prevedono delle cautele speciali per la spedizione, la trasmissione e la consegna della posta raccomandata ed assicurata, rispetto alle corrispondenti modalità previste per la posta ordinaria.
In particolare, la possibilità di seguire in tempo reale lo stato di lavorazione del plico ed il percorso dallo stesso compiuto, sono tali da permettere al mittente, in caso di ritardo prolungato nella consegna, di attivarsi tempestivamente per evitarne il pagamento o, quanto meno, per segnalare l’anomalia alla banca trattaria.
Da ciò deriva l’applicazione del seguente principio di diritto: la spedizione per posta ordinaria di un assegno, ancorché munito di clausola d’intrasferibilità, costituisce, in caso di sottrazione del titolo e riscossione da parte di un soggetto non legittimato, condotta idonea a giustificare l’affermazione del concorso di colpa del mittente, comportando, in relazione alle modalità di trasmissione e consegna previste dalla disciplina del servizio postale, l’esposizione volontaria del mittente ad un rischio superiore a quello consentito dal rispetto delle regole di comune prudenza e del dovere di agire per preservare gl’interessi degli altri soggetti coinvolti nella vicenda, e configurandosi dunque come un antecedente necessario dell’evento dannoso, concorrente con il comportamento colposo eventualmente tenuto dalla banca nell’identificazione del presentatore.
Dunque, la fattispecie andava riesaminata in sede di rinvio, attribuendo alla compagnia assicurativa una responsabilità concorrente nella causazione del danno.
D’altra parte, chi è causa del suo mal….
Un secondo solo ….…
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