Il chirurgo estetico che effettua un intervento di mastoplastica additiva, deve sempre attenersi alle linee guida, ovvero tutta quella documentazione di carattere medico scientifico, che viene identificata in raccomandazioni circostanziate di comportamento clinico.
Si tratta di un vero e proprio “dossier” vincolante, elaborato mediante un processo di aggiornamento costante della letteratura e delle opinioni di esperti del settore, con la finalità di agevolare i medici ed i pazienti nel decidere le modalità di approccio più idoneo nella specifica situazione clinica.
Tanto più importanti sono le linee guida in materia di intervento di ingrandimento del seno, quanto più la loro violazione determina la sofferenza della paziente ed un palese danno all’aspetto estetico della stessa.
Come evidenziato dalla Quarta Sezione Penale della Cassazione, con Sentenza n. 2347 del 2014, l’errore del chirurgo plastico diviene “inescusabile” proprio in ragione della mancata applicazione delle condizioni generali e dei principi fondamentali riguardanti l’operato professionale, evidenziando una carenza di abilità e perizia tecnica nell’uso dei beni manuali o strumentali, al momento dell’atto operatorio.
Va aggiunto, in materia di chirurgia estetica, che il consenso che deve fornire il medico ai propri pazienti deve essere molto più dettagliato e “personalizzato” rispetto ad altre branche della medicina.
Ciò perché ci si trova dinanzi a trattamenti non terapeutici, ma solo finalizzati al miglioramento dell’aspetto fisico.
Ma v’è di più: proprio perché non si tratta di attività legate alla prevenzione, né alla cura di patologie, bensì riferite a miglioramenti di carattere estetico della persona, le obbligazioni che assumono i chirurghi nei confronti dei clienti sono “di risultato”, non semplici obbligazioni “di mezzi”.
In tal senso, il Tribunale di Milano, pronunciandosi con Sentenza n. 12113 del 2015, ha rilevato che l’intervento di chirurgia estetica è finalizzato a realizzare un miglioramento estetico in favore del paziente; di conseguenza, il medico chirurgo deve rispondere del mancato raggiungimento di tale obiettivo.
Chi si rivolge ad un chirurgo plastico lo fa per finalità molto spesso esclusivamente legate alla sfera della bellezza e del miglioramento estetico; dunque, per rimuovere un difetto e per raggiungere un determinato risultato, non certo per curare una malattia.
Ne deriva che il risultato rappresentato dal miglioramento estetico dell’aspetto del paziente non è solo un motivo, ma entra a far parte del nucleo causale del contratto con il medico, determinandone la natura.
Difettando il risultato estetico finale, il chirurgo sarà chiamato a rispondere per responsabilità professionale.
Nel caso preso in esame dal Tribunale milanese, una giovane donna aveva agito in giudizio, al fine di ottenere il risarcimento dei i danni subiti a causa di un intervento non riuscito, in quanto gli esiti negativi dell’operazione le avevano provocato una destabilizzazione psicologica, che l’aveva addirittura costretta a mutare il proprio stile di vita e le proprie abitudini.
[…] In questa fattispecie va censurata l’imperizia tecnica in capo al professionista nell’esecuzione dell’intervento chirurgico: l’errore del chirurgo plastico diviene “inescusabile” in ragione della mancata applicazione delle condizioni generali e dei principi fondamentali riguardanti l’operato professionale, evidenziando una carenza di abilità e perizia tecnica nell’uso dei beni manuali o strumentali, al momento dell’atto operatorio (se ne è già parlato QUI). […]
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