Il ricorso all’immagine, come biglietto di presentazione di se stessi e del proprio “io”, è diventato un’esigenza sociale per l’essere umano, sempre più legato all’immediatezza del messaggio esteriore, senza ponderare il valore della parola.
I nuovi social networks post-Facebook ne sono l’esempio può lampante: il concetto che si vuol comunicare deve essere trasmesso in pochi istanti, quelli che richiede il gradimento dell’immagine, del breve video di proprietà dell’autore.
Davanti a questo dato, che ha riformulato integralmente la scala di valori dell’uomo contemporaneo, la corsa alla desiderata perfezione del proprio aspetto esteriore assume uno dei baluardi dell’agire: spinti da regole sociali che tracciano i canoni di bellezza comune, spesso osserviamo la nostra figura insoddisfatti, cogliendo ogni imperfezione del nostro fisico.
Sembra che viviamo tutti la nostra angoscia per l’immagine che doniamo all’esterno, come la Marie-Thérèse di Picasso, che nel quadro ‘Ragazza di fronte allo specchio‘ appariva, davanti alla propria immagine riflessa, contornata da tinte scure, malinconiche e deprimenti.
In una società nella quale trionfa l’estetica è determinante il lavoro del chirurgo plastico.
Infiniti interventi correttivi, additivi, riduttivi, si susseguono al fine di ricondurre le nostre immagini sui criteri di bellezza che desideriamo.
Frequenti, tuttavia, sono le problematiche seguenti all’intervento estetico ed in caso di danni conseguenziali ad attività di chirurgia estetica, l’intervento legale volto a rendere il doveroso risarcimento verso la persona danneggiata, richiede il massimo dello scrupolo professionale nell’azione.
Sin dalla cosiddetta “Legge Balduzzi” (numero 189 del 2012, di conversione del D.L. n. 158/2012) si è estesa l’applicazione, all’interno del campo medico e sanitario, del criterio di liquidazione del danno “biologico” secondo il metodo tabellare già adottato nel settore degli incidenti provocati dalla circolazione dei veicoli a motore e dei natanti.
Prima ancora che trattare dell’ammontare risarcitorio, vanno tuttavia individuati i parametri comuni per comprendere la responsabilità del medico, nel porre in essere l’intervento di chirurgia estetica.
Va detto che gli interventi di chirurgia estetica non c’entrano nulla con gli interventi chirurgici in caso di patologie del paziente, poiché vengono posti in essere quando non sono presenti malattie o criticità funzionali, avendo di mira esclusivamente il miglioramento dell’aspetto fisico della persona che si rivolge al professionista.
Va da sé che va ricondotta in capo alla persona del chirurgo estetico un’obbligazione di risultato, non di mero mezzo (come evidenziato da numerose sentenze di merito), non potendo certo dichiararsi soddisfatto un cliente i cui esiti estetici post-operazione lasciano a desiderare, o, peggio, compromettono in modo grave l’immagine della persona.
E’ certo che nel momento in cui, in conseguenza di un intervento di chirurgia plastica, il risultato sia un difetto fisico più grave di quello che si voleva eliminare o ridurre, il professionista medico ha responsabilità per i danni subiti dal paziente, anche in caso di intervento eseguito in maniera corretta, qualora il paziente medesimo non fosse stato avvisato ed informato esaurientemente di questa eventualità negativa.
Tali principi sono stati sanciti dalla nota Sentenza n. 12830 del 2014 della Terza Sezione Civile della Cassazione.
In questa prospettiva i Supremi Giudici evidenziavano che nel contesto degli interventi chirurgici “non necessari” (secondo la scienza medica del tempo), un’attività posta in essere senza valido consenso perde qualsiasi fonte di legittimazione, divenendo automaticamente “contra ius” ed esponendo chi la compie a tutte le conseguenze della sua condotta, anche se l’intervento fosse compiuto secondo i migliori protocolli terapeutici.
Infatti, occorre separare le due qualificazioni giuridiche: quella che riguarda l’intervento in sè (potremmo dire l’an dell’intervento) e quella che riguarda l’esecuzione dell’intervento (potremmo dire il quomodo dell’intervento).
La seconda qualificazione può essere “secundum ius” e nondimeno essere “contra ius” la prima qualificazione: infatti, ben può essere illegittimo un intervento eseguito correttamente, e questo avviene in tutti i casi in cui l’intervento terapeutico non trova legittimazione né nel consenso, né nella necessità (fattispecie, quest’ultima, propria degli interventi di tipo medico-correttivo di patologie).
Va dunque rimarcata la particolare rilevanza del consenso negli interventi di chirurgia estetica.
Secondo la definizione della Corte Costituzionale con Sentenza n. 438 del 2008, il consenso informato, inteso quale espressione della consapevole adesione al trattamento sanitario proposto dal medico, si configura quale vero e proprio diritto della persona e trova fondamento nei principi espressi nell’articolo 2 della Costituzione, che ne tutela e promuove i diritti fondamentali, e negli articoli 13 e 32 della Carta costituzionale, i quali stabiliscono rispettivamente che la libertà personale è inviolabile e che nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge.
Invero, ciò che rileva è che il paziente, a causa del deficit di informazione non sia stato messo in condizione di assentire al trattamento sanitario con una volontà consapevole delle sue implicazioni, consumandosi, nei suoi confronti, una lesione di quella dignità che connota l’esistenza nei momenti cruciali della sofferenza, fisica e psichica.
Il medico è tenuto ad informare il paziente dei benefici, delle modalità di intervento, dell’eventuale scelta tra tecniche diverse, dei rischi prevedibili.
Questo dovere di informazione è particolarmente pregnante nella chirurgia estetica, perché il medico è tenuto a prospettare in termini di probabilità logica e statistica al paziente la possibilità di conseguire un effettivo miglioramento dell’aspetto fisico, che si ripercuota anche favorevolmente nella vita professionale e in quella di relazione.
In sostanza, il miglioramento del proprio aspetto fisico – che è il risultato che il paziente intende raggiungere con l’intervento – acquista un particolare significato nel quadro dei doveri informativi cui è tenuto il sanitario, anche perché soltanto in questo modo il paziente è messo in grado di valutare l’opportunità o meno di sottoporsi all’intervento di chirurgia estetica.
Come anticipato, in questa materia può parlarsi di interventi non necessari, che mirano all’eliminazione di inestetismi e che, come tali, devono essere oggetto di un’informazione puntuale e dettagliata in ordine ai concreti effetti migliorativi del trattamento proposto.
Sia però evidenziato che in seguito ad un intervento di chirurgia plastica, pur perfettamente riuscito e sul quale neppure dal punto di vista dell’obbligazione di risultato vi è nulla da eccepire, potrebbero sopravvenire sviluppi di carattere medico legati tanto ad una nuova e sopraggiunta esigenza estetica, quanto ad una necessità biologica e terapeutica.
Può essere il caso della mastopessi riduttiva, ossia del cosiddetto “lifting del seno”.
Se in conseguenza di quest’operazione sopravvengono cicatrici e deformazioni anatomiche, s’impone doveroso il risarcimento da parte del sanitario operante.
In questa fattispecie va censurata l’imperizia tecnica in capo al professionista nell’esecuzione dell’intervento chirurgico: l’errore del chirurgo plastico diviene “inescusabile” in ragione della mancata applicazione delle condizioni generali e dei principi fondamentali riguardanti l’operato professionale, evidenziando una carenza di abilità e perizia tecnica nell’uso dei beni manuali o strumentali, al momento dell’atto operatorio (se ne è già parlato QUI).
Compito dell’avvocato è quello di valutare il quantum risarcibile dovuto all’alterazione fisionomica e fisiognomica dello sfortunato paziente, nonché i difetti funzionali.
Vanno dunque risarciti tanto il danno biologico, quanto il danno all’immagine; vanno altresì risarcite le afflizioni morali conseguenziali all’errore medico.