Tamara de Lempicka, pittrice polacca bandiera dell’Art Dèco (della quale grandissima fan e prima divulgatrice è la pop-star Madonna) nel 1929 realizzava il proprio Autoritratto in Bugatti verde.
Nel dipinto traspare una donna sicura, autorevole, quasi superiore allo spettatore, del quale incrocia lo sguardo, sfidandolo con espressione fiera e quasi sdegnosa.
Quest’opera è diventata il simbolo dell’emancipazione femminile, ma va a richiamare anche concetti di lusso e di tecnologia tramite l’autovettura che ospita la pittrice, la splendida Bugatti, all’epoca lo “status symbol” per eccellenza.
Gli autoveicoli hanno sempre rappresentato un feticcio cui la società dell’immagine è ricorsa con frequenza, per ostentare valori propri della modernità.
Oggi una lieve inversione di tendenza inizia ad esser percepita, soprattutto nelle grandi metropoli sature di autoveicoli e bisognose di un ritorno “alla natura”.
Però non può negarsi l’essenzialità dell’autoveicolo per famiglie e singoli nella vita quotidiana.
Qualche giorno fa alcuni quotidiani nazionali hanno riportato la notizia secondo cui la Cassazione, intervenuta in materia di autovetture difettose, abbia espresso il principio secondo cui “i difetti del bene usato possono essere risarciti entro sei mesi” (qui l’articolo de Il Messaggero).
Volendo approfondire la questione, sia verificata la Sentenza n. 13148 resa dalla Sezione Seconda Civile lo scorso 30 giugno 2020.
I Supremi Giudici si sono pronunciati sulla causa promossa da una coppia di coniugi nei confronti di un autosalone, volta ad ottenere il risarcimento dei danni derivanti dalla denunciata presenza di vizi occulti sul veicolo da essi acquistato, consistenti nel rimborso delle spese sostenute per noleggiare un’auto sostitutiva, pari ad Euro 1.810,96, nelle somme spese per il ripristino del mezzo, pari ad Euro 1.770,00, e nei danni ulteriori “da disagio”.
La denuncia di questi difetti sul veicolo veniva formalizzata dalla coppia circa tre mesi dopo l’intervenuto acquisto.
Si costituiva l’autosalone eccependo che l’autovettura fosse perfettamente funzionante al momento della consegna e che il vizio era stato causato da un uso anomalo del mezzo, che aveva percorso un numero di chilometri superiore alla norma, ed alla carente manutenzione.
I giudici di primo e di secondo grado negavano il risarcimento, sulla base del fatto che che il veicolo era stata venduto quando aveva già percorso 140.000 chilometri e la coppia aveva ammesso di aver fatto un “uso anomalo del mezzo”; peraltro era emerso lungo l’istruttoria che la macchina avesse percorso oltre 54.000 Km, sì da considerare eccezionale il suo utilizzo. Era emerso inoltre, dalla valutazione delle deposizioni testimoniali, che l’autoveicolo, prima della vendita, era stato accuratamente controllato ed era risultato perfettamente funzionante, tanto che non aveva presentato problemi fino alla data della denuncia.
Ricorrevano i due coniugi in Cassazione, denunciando l’erronea applicazione della normativa relativa al contratto di vendita e non il Codice del Consumo, con particolare riferimento all’articolo 130 del Codice del Consumo, che prevede la responsabilità del venditore in caso di difetto di conformità, erroneamente ritenendo che l’autovettura, che aveva già percorso 140.000 km al momento dell’acquisto, avesse subito un utilizzo anomalo. Peraltro, suddetta conclusione era stata erroneamente tratta dalle fatture relative all’autonoleggio dell’auto sostitutiva, da cui era risultato che in due settimane, il mezzo avrebbe percorso altri 54.818,00 Km, mentre tale dato si riferiva ai chilometri complessivamente percorsi dall’autovettura noleggiata. Inoltre, vi sarebbe stata una violazione dell’art. 132 del Codice del Consumo, che prevede una presunzione del difetto di conformità del bene, qualora i vizi si manifestino entro sei mesi dalla consegna mentre, nella specie, i vizi si sarebbero presentati tre mesi dopo la consegna, con conseguente inversione dell’onere della prova, in capo alla concessionaria, della loro insussistenza al momento della vendita.
La Suprema Corte accoglieva in toto le doglianze dei ricorrenti.
L’art. 135 comma II del Codice del Consumo stabilisce che, in tema di contratto di vendita, le disposizioni del codice civile si applicano “per quanto non previsto dal presente titolo”; l’art. 1469 bis del codice civile, a sua volta, stabilisce che le disposizioni del codice civile contenute nel titolo “Dei contratti in generale” “si applicano ai contratti del consumatore, ove non derogate dal codice del consumo o da altre disposizioni più favorevoli per il consumatore”.
Esiste, dunque, nell’attuale assetto normativo della disciplina della compravendita, una chiara preferenza del legislatore per la normativa del Codice del Consumo relativa alla vendita ed un conseguente ruolo “sussidiario” assegnato alla disciplina codicistica (relativa tanto al contratto in generale che alla compravendita): nel senso che si applica innanzitutto la disciplina del codice del consumo (artt. 128 e segg.), potendosi applicare la disciplina del codice civile solo per quanto non previsto dalla normativa speciale.
Ma quando va applicato il Codice del Consumo?
L’art. 128 del Codice del Consumo stabilisce che, ai fini dell’applicazione delle norme contenute nel capo I del titolo III dello stesso codice dal titolo “Della vendita dei beni di consumo”, per “bene di consumo” si intende “qualsiasi bene mobile” e per “venditore” si intende “qualsiasi persona fisica o giuridica pubblica o privata che, nell’esercizio della propria attività imprenditoriale o professionale, utilizza i contratti di cui al comma 1” (contratti di vendita, permuta, somministrazione, appalto etc.)”.
Alle disposizioni civilistiche dettate agli artt. 1490 e seguenti del codice civile, in tema di garanzia per i vizi dei beni oggetto di vendita, si aggiungono, in una prospettiva di maggior tutela, gli strumenti predisposti dal codice del consumo.
Dal combinato disposto degli artt. 129 e segg. del summenzionato codice si desume una responsabilità del venditore nei riguardi del consumatore per qualsiasi difetto di conformità esistente al momento della consegna del bene allorché tale difetto si palesi entro il termine di due anni dalla predetta consegna.
Il difetto di conformità consente al consumatore di esperire i vari rimedi contemplati all’art. 130 cit., i quali sono graduati, per volontà dello stesso legislatore, secondo un ben preciso ordine: costui potrà in primo luogo proporre al proprio dante causa la riparazione ovvero la sostituzione del bene e, solo in secondo luogo, nonché alle condizioni contemplate dal comma 7, potrà richiedere una congrua riduzione del prezzo oppure la risoluzione del contratto.
Resta fermo che, per poter usufruire dei diritti citati, il consumatore ha l’onere di denunciare al venditore il difetto di conformità nel termine di due mesi decorrente dalla data della scoperta di quest’ultimo.
Quale è il riparto di onere della prova in materia di denuncia dei vizi?
Il Codice del Consumo prevede una presunzione a favore del consumatore, inserita nell’art. 132 comma III, a norma del quale si presume che i difetti di conformità, che si manifestino entro sei mesi dalla consegna del bene, siano sussistenti già a tale data, salvo che l’ipotesi in questione sia incompatibile con la natura del bene o con la natura del difetto di conformità.
Si tratta di presunzione iuris tantum, superabile attraverso una prova contraria, finalizzata ad agevolare la posizione del consumatore.
Ne deriva che ove il difetto si manifesti entro tale termine, il consumatore gode di un’agevolazione probatoria, dovendo semplicemente allegare la sussistenza del vizio e gravando conseguentemente sulla controparte l’onere di provare la conformità del bene consegnato rispetto al contratto di vendita.
Superato il suddetto termine, trova nuovamente applicazione la disciplina generale posta in materia di onere della prova posta dall’art. 2697 del codice civile: ciò implica che il consumatore che agisce in giudizio sia tenuto a fornire la prova che il difetto fosse presente ab origine nel bene, poiché il vizio ben potrebbe qualificarsi come sopravvenuto e dipendere conseguentemente da cause del tutto indipendenti dalla non conformità del prodotto.
Responsabilità oggettiva o presunta?
Precisano i Supremi Giudici che la responsabilità da prodotto difettoso riveste natura presunta, e non oggettiva, poiché prescinde dall’accertamento della colpevolezza del produttore, ma non anche dalla dimostrazione dell’esistenza di un difetto del prodotto.
Incombe, pertanto, sul soggetto danneggiato la prova del collegamento causale non già tra prodotto e danno, bensì tra difetto e danno e, una volta fornita tale prova, incombe sul produttore la corrispondente prova liberatoria, consistente nella dimostrazione che il difetto non esisteva nel momento in cui il prodotto veniva posto in circolazione, o che all’epoca non era riconoscibile in base allo stato delle conoscenze tecnico-scientifiche.
Le conclusioni nel caso specifico
Sulla base delle argomentazioni puntualmente rese dalla Cassazione, era applicabile il Codice del Consumo, con particolare riferimento al regime probatorio agevolato in favore del consumatore, in quanto i vizi si manifestarono entro i sei mesi dalla consegna.
Il giudice di merito avrebbe dovuto accertare se il vizio fosse stato denunciato entro due mesi dalla scoperta del vizio e, trattandosi di vizio che si era manifestato entro sei mesi dalla consegna, applicare la presunzione di responsabilità a carico del venditore, a meno che tale ipotesi fosse incompatibile con la natura del bene o con la natura del difetto di conformità.
A tal fine, non era sufficiente affermare che l’auto fosse stata controllata prima della vendita e che fosse stato effettuato un tagliando; era, invece necessario verificare al momento della denuncia del vizio, la causa che lo aveva generato, facendo ricorso all’assistenza tecnica di cui disponeva la concessionaria.
Solo all’esito di tale accertamento, la corte di merito avrebbe potuto fare riferimento alluso anomalo del mezzo, effettuato sulla base del chilometraggio dell’autovettura oggetto del contratto o facendo ricorso alle presunzioni.
La Corte di Appello sarà chiamata a riesaminare la vicenda sulla base dei principi di diritto puntualmente espressi dai Supremi Giudici.