Nel 1895 Edward Munch con la propria opera “Il vampiro” dava vita ad un’immagine scioccante, simbolo dei mali esistenziali dell’uomo che si affacciava verso il Novecento in piena crisi d’identità e di valori.
Un uomo si abbandona affranto tra le braccia della propria donna, affidandosi all’affetto ed alla benevolenza della stessa; ella sembra voler accogliere l’uomo con fare amorevole, ma in realtà è pronta a sferrare il suo morso di vampira, per succhiare il sangue e, probabilmente, anche l’anima dell’individuo.
Andando oltre gli aspetti psicologici riferiti al rapporto con la figura femminile ampiamente tratteggiati da sublimi critici d’arte, par di ravvedere anche una metafora dell’uomo che si affida alla vita perchè perduto, privo di determinazione e di forza, ma che poi dalla vita viene risucchiato e spolpato fino all’annientamento.
Un vero e proprio emblema della crisi esistenziale dell’uomo moderno.
Il danno alla sfera esistenziale è pienamente valorizzato all’interno del nostro ordinamento.
Sebbene la Cassazione abbia precisato che occorra rimanere all’interno di una “bipartizione” del danno in capo al soggetto leso, distinto tra danno patrimoniale e danno non patrimoniale, l’operazione volta ad individuare tutti gli aspetti meritevoli di ristoro deve a sua volta rivelare, all’interno della voce “danno non patrimoniale”, i danni biologici, quelli morali e, appunto, quelli di tipo esistenziale, senza tuttavia procedere verso duplicazioni di poste risarcitorie.
La personalizzazione del risarcimento del soggetto leso secondo le basi del sistema tabellare dei “punti”, provvede anzitutto a quantificare le lesioni subite facendo riferimento alle conseguenze di tipo “normale” del danno, riferibili cioè ad un ristoro forfettario che ogni persona riceverebbe laddove si presentassero lesioni di analoga portata ed entità.
Spetta poi all’operatore del diritto (l’avvocato che difende il soggetto leso ed il giudice chiamato a quantificare il risarcimento dovuto) individuare tutte le circostanze che, al di là dei valori tabellari, potrebbero determinare la personalizzazione rispetto ad una liquidazione del pregiudizio meramente forfettizzata.
Ne discende che nella valutazione di un danno alla salute, la liquidazione dovrà valutare tanto l’aspetto prettamente biologico, quanto l’aspetto morale (inteso come sofferenza interiore), quanto l’aspetto del mutamento in peius della vita di relazione del soggetto leso: dovrà dunque tenersi conto anche delle conseguenze che influiscono sul piano dinamico-relazionale della vita della persona che rivendica il risarcimento.
Per fare degli esempi, andrà risarcito il danno da perdita di un parente, essendo venuta meno la possibilità di godere dell’affetto del proprio caro e di poter trascorrere momenti di familiarità con lo stesso; andrà risarcito il danno da mancata valorizzazione della professionalità di un lavoratore, laddove il medesimo sia iniquamente vittima di demansionamento; andrà risarcito il danno da mancato godimento di una quotidianità serena con possibilità di organizzare viaggi o esperienze ludiche o culturali, laddove un soggetto risulti per ipotesi vittima di un’indebita azione di recupero di crediti bancari, che ne azzerano le possibilità economiche; andrà altresì risarcito il danno all’affezione verso un animale di compagnia, per ipotesi venuto a mancare in conseguenza di un illecito.
Ciò che rileva è che ogni nocumento di carattere esistenziale (dinamico-relazionale) venga compiutamente provato da colui che rivendica il relativo risarcimento in sede giudiziale, circostanziando l’entità del pregiudizio su basi personali.
E’ questo un tema nuovamente trattato dalla Suprema Corte con Ordinanza della Sezione Sesta rubricata al n. 16039 del 28 luglio 2020.
Nella pronuncia de qua i Supremi Giudici negavano il relativo ristoro di tipo esistenziale, perché la valutazione delle poste risarcibili già ricomprendeva ogni aspetto di danno riferito al caso specifico, né la parte ricorrente era stata in grado di dimostrare un’eventuale maggiorazione dovuta a personalizzazioni del caso specifico.
Rilevava infatti la Cassazione che tutto l’apparato argomentativo del ricorrente era volto a contestare genericamente il mancato riconoscimento del danno esistenziale ed a dimostrare che, essendo esso presuntivamente un danno “in re ipsa”, sarebbe stato meritevole di ulteriore risarcimento, a prescindere da una specifica prova.
I Giudici di Piazza Cavour evidenziano che non può dirsi che il danno alla salute “comprenda” pregiudizi dinamico-relazionali; dovrà piuttosto dirsi che il danno alla salute è esso stesso un danno “dinamico-relazionale”.
Se non avesse conseguenze “dinamico-relazionali”, la lesione della salute non sarebbe nemmeno un danno medico legalmente apprezzabile e giuridicamente risarcibile.
In presenza d’un danno permanente alla salute, costituisce dunque indebita duplicazione risarcitoria la congiunta attribuzione d’una somma di denaro a titolo di risarcimento del danno biologico, e l’attribuzione d’una ulteriore somma a titolo di risarcimento dei pregiudizi di cui è già espressione il grado percentuale di invalidità permanente (quali i pregiudizi alle attività quotidiane, personali e relazionali, indefettibilmente dipendenti dalla perdita anatomica o funzionale: ovvero il danno dinamico-relazionale).
Dunque, per ottenere un “extra” risarcitorio riferibile al danno esistenziale, quale sotto-categoria di danno non patrimoniale biologico, non sarà sufficiente riferire che il danno esistenziale sussista “in re ipsa” (come nel caso definito dai Supremi Giudici lo scorso 28 luglio), ma si avrà l’onere di dimostrare l’eccezionalità delle conseguenze relazionali del danno biologico subito, tali da determinare una preclusione di specifiche attività di carattere dinamico-relazionale, meritevoli per questo di una distinta ed additiva valutazione.
In tal senso, facendo propri gli assunti resi dalla Suprema Corte con la nota Ordinanza n. 2788 del 31 gennaio 2019, la liquidazione finalisticamente unitaria del danno alla salute terrà conto del pregiudizio complessivamente subito tanto sotto l’aspetto della sofferenza interiore, quanto sotto quello dell’alterazione o modificazione peggiorativa della vita di relazione, con la possibilità di personalizzare in aumento il risarcimento ottenuto, in presenza di conseguenze dannose del tutto anomale, eccezionali e affatto peculiari che abbiano inciso sulla componente dinamico-relazionale del soggetto leso.