Antonio Laccabue, poi soprannominatosi Antonio Ligabue, è stato un pittore del Novecento tormentato, impetuoso ed anticonformista, un po’ un Caravaggio moderno.
La sua vita dolorosa, trascorsa prima in Svizzera poi in Italia partendo dal paese emiliano Gualtieri, lo aveva portato ai margini della socialità, ma grazie all’incontro con l’artista Renato Marino Mazzacurati la sua vita ebbe una svolta ed è così che ancora oggi possiamo ammirare le sue opere meravigliose.
Nel dipinto Autoritratto con moto, cavalletto e paesaggio datato 1953 il pittore ritrae la sua solitudine di uomo d’arte, immerso in un paesaggio marino splendido e con vicino la sua immancabile motocicletta, uno degli amori della vita.
Ed è proprio da una storia di un motociclista che prende le mosse una recente pronuncia della Suprema Corte, interrogata una volta di più in materia di risarcimento del danno da sinistro stradale.
Si tratta dell’Ordinanza numero 27621 del 3 dicembre 2020, con la quale la Sezione Terza Civile della Cassazione definiva la domanda di un conducente di motocicletta, che subiva un grave incidente a causa di uno scontro con un autocarro che faceva avventatamente marcia indietro e finiva per collidere contro il malcapitato.
Il ricorrente otteneva una rendita ed un risarcimento da parte dell’assicurazione per il danno differenziale rispetto a quello a carico dell’Inail.
Però, ritenendo insufficiente l’ammontare di quest’ultimo, agiva per il riconoscimento giudiziale di una somma maggiore.
In particolare, i Supremi Giudici venivano investiti delle domande del motociclista riferite alla mancata personalizzazione della posta risarcitoria, meramente parametrata alle tabelle di liquidazione del danno da parte dei giudici di merito, ed alla pretesa di un ristoro anche di un danno da perdita lavorativa specifica.
Il problema della personalizzazione del danno
Quanto al primo motivo di censura, i Giudici di Piazza Cavour evidenziavano come il ricorrente non avesse allegato circostanze specifiche che possano giustificare una personalizzazione, essendosi limitato ad allegare a tal fine l’età del danneggiato e la gravità delle lesioni, circostanze che la corte di merito ha ritenuto insufficienti per una personalizzazione, costituendo invece elementi che entrano nel calcolo della liquidazione “standard”, ossia quella tabellare.
A tal fine corre luogo evidenziare che la Suprema Corte abbia già stabilito, in un precedente famoso arresto (la Sentenza 21939 del 2017 resa dalla Sezione Terza Civile), che la personalizzazione di un danno debba essere sempre legata alla singolarità dell’esperienza di vita individuale nella specie considerata, caratterizzata da aspetti connessi alle dinamiche emotive della vita interiore o all’uso del corpo e alla valorizzazione dei relativi aspetti funzionali, di per sè tali da presentare obiettive e riconoscibili ragioni di apprezzamento (in un’ottica che, ovviamente, superi la dimensione “economicistica” dello scambio di prestazioni), meritevoli di tradursi in una differente (e, dunque, individualizzata) considerazione in termini monetari, rispetto a quanto suole compiersi in assenza di dette peculiarità.
Laddove provati nella loro individualità (e tale non era il caso di specie) la sofferenza ed il patema d’animo della vittima dell’evento lesivo debbono essere liquidati in via equitativa, con personalizzazione basata sulle condizioni specifiche del soggetto danneggiato tenuto conto delle pregresse abitudini di vita, dell’importanza delle lesioni subite, dei periodi di ospedalizzazione e di terapia.
Le Tabelle di Milano, individuate come parametro preferibile da seguire nelle liquidazioni, comprendono già il danno morale di base nel danno biologico e consentono una “personalizzazione” entro una percentuale stabilita.
Il danno non patrimoniale va personalizzato su basi percentuali rispetto ai valori tabellari, avuto riguardo al grado di sofferenza patito, al peggioramento delle condizioni di vita, quale può emergere all’esito dell’istruttoria dibattimentale a mezzo documenti, testimoni ed anche tramite una CTU che possa per ipotesi attestare una maggiore fatica e disagio per lo svolgimento di qualsivoglia attività manuale; sempre dall’istruttoria può ancora emergere che il danneggiato può esser stato costretto ad abbandonare, dopo l’incidente, pratiche sportive che gli erano proprie, oppure occasioni di socialità in relazione alle quali le condizioni psicofisiche conseguenti all’incidente non consentono più la pratica specifica (ad esempio, la passione per il tiro con l’arco o per il camping, la pratica del nuoto, l’uso dell’aliante, e così via).
Il problema del danno alla capacità lavorativa specifica
Anche la domanda del motociclista di ristoro di un asserito danno da capacità lavorativa specifica veniva rigettata dalla Cassazione.
I Giudici di legittimità evidenziavano che il mancato riconoscimento del danno per la perdita della capacità lavorativa futura, che viene indicato come una perdita di chance, derivava dalla circostanza che il ricorrente non avesse allegato alcunché a dimostrazione di cosa avrebbe fatto in futuro e di come la sua invalidità potesse avere incidenza sulla capacità professionale; in sostanza, la domanda era del tutto priva di allegazione e di conseguenziale prova.
Volendo inquadrare in modo circostanziato la fattispecie, va rilevato che la giurisprudenza della Suprema Corte (illuminante la Sentenza 25 giugno 2019 n. 16913 della Sezione Terza Civile) ha rilevato che il danno permanente da quella che definiva “incapacità di guadagno”, non può essere liquidato utilizzando i coefficienti di capitalizzazione approvati con R.D. n. 1403 del 1922, in quanto essi, sia a causa dell’aumento della durata media della vita, sia a causa della diminuzione dei saggi d’interesse, non sono più idonei a garantire un corretto risarcimento equitativo del danno e, pertanto, non rispettano il dettato dell’art. 1223 del codice civile.
Sintetizzando, la capacità lavorativa specifica è quella capacità necessaria per esercitare l’attività mediante la quale un soggetto produce reddito.
In seguito ad un fatto illecito, la perdita della capacità lavorativa specifica può determinare un sovrappiù risarcitorio se si fornisce la prova che che il danneggiato ricaverà minori guadagni dal proprio lavoro.
In particolare, la quantificazione del danno patrimoniale futuro da perdita di capacità lavorativa specifica, va effettuata mediante la moltiplicazione del reddito perduto “per un adeguato coefficiente di capitalizzazione”, utilizzando come parametri “da un lato, la retribuzione media dell’intera vita lavorativa della categoria di pertinenza, desunta da parametri di rilievo normativo o altrimenti stimata in via equitativa, e, dall’altro, coefficienti di capitalizzazione di maggiore affidamento, in quanto aggiornati e scientificamente corretti, quali, ad esempio, quelli approvati con provvedimenti normativi per la capitalizzazione delle rendite previdenziali o assistenziali oppure quelli elaborati specificamente nella materia del danno aquiliano”.
Alla base, tuttavia, occorre specifica e circostanziata allegazione in sede di domanda risarcitoria, come pure altrettanto specifica prova.
Un secondo solo ….…
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