Nelle nostre case si consuma il pranzo natalizio, per chi può, insieme all’affetto dei propri cari; tanto più quest’anno in forme assolutamente minimali, attesi i noti vincoli governativi.
Forse il pranzo di Natale è il momento nel quale si celebra nella sua forma massima la metafora della riunione familiare, intesa come appartenenza di sangue e legame di affetti, che vengono rinnovati anno per anno come un porto sicuro cui far sempre ritorno.
Il Natale è momento contemplativo e di aggregazione anche nelle famiglie con problematiche interpersonali.
Mai si potrebbe pensare di “allargare” la platea dei commensali natalizi a terze persone non legate al nucleo familiare da vincoli di parentela o di schietta amicizia.
Mai, soprattutto, si potrebbe pensare di ospitare nella propria casa un “amante” o “amico” o “amica” particolare del proprio coniuge.
Viene qui alla mente il noto film di Ettore Scola, Brutti Sporchi e Cattivi, nel quale un immenso Nino Manfredi, marito laido e ripugnante, pretendeva che un grande pranzo familiare si celebrasse tranquillamente con al proprio fianco, da un lato, la triste ed arrabbiata moglie, dall’altro lato, la sempliciotta e vagabonda amante.
Una sorta di “pacificazione”, quella pretesa dal bieco capofamiglia, che altro non era che il voler imporre, da parte dell’uomo, una doverosa accettazione del menage extraconiugale alla propria numerosa e strampalata famiglia, peraltro immersa in problemi sicuramente più urgenti, tale era il degrado delle condizioni di vita di ognuno dei protagonisti descritti nel film, immersi in una baraccopoli della periferia romana di Monte Ciocci, alle prese con problemi di sopravvivenza e decadimento materiale e morale.
Pare assurdo, ma la storia si è verificata davvero in un caso giudiziario, giunto addirittura all’attenzione della Suprema Corte, peraltro finito tra le pagine dei quotidiani nazionali, che ne hanno dato gran risalto.
Si tratta della vicenda definita con la nota Sentenza 17195 del 9 ottobre 2012 (a firma della Prima Sezione Civile).
Il marito, ricorrente in Cassazione, sosteneva davanti ai Giudici di Piazza Cavour l’infondatezza dell’addebito della separazione, in quanto la relazione intrattenuta con un’altra donna, pur non negata, si fondava su circostanze che esulavano da un rapporto carnale e comunque da qualsivoglia coinvolgimento amoroso.
Chiedeva dunque l’uomo che il “tradimento apparente” non fosse riconosciuto quale motivo di addebito.
Dall’istruttoria dibattimentale era emerso che l’amica tutto era meno che una frequentazione “spirituale” del marito; né, tanto meno, si trattava di una persona accettata dalla moglie.
Il marito, invero, frequentava assiduamente la casa della propria “amica”, la accompagnava al posto di lavoro, con lei dovevano essere discussi i problemi interni familiari.
Addirittura, questa “amica” era presente in casa per le feste di Natale, altrimenti l’uomo si opponeva alla partecipazione alle riunioni familiari tipiche del periodo natalizio.
I Supremi Giudici rifiutarono integralmente la linea difensiva proposta dall’uomo, evidenziando che il tradimento in una relazione coniugale non è solo quello fisico, comprovato in modo certo.
La tematica dell’ “amicizia” tra donna e uomo che va a corrompere il rapporto coniugale, è stata ampiamente trattata dalla Cassazione in numerose pronunce, anche molto recenti.
Anche una relazione molto stretta, quando non condivisa dall’altro coniuge, quando sia fonte di litigi, malumori, e di un peggioramento del rapporto complessivo tra i due coniugi, fino a determinare la crisi del matrimonio, va ad integrare gli estremi del tradimento sentimentale ed a costituire motivo di addebito della separazione.
Un secondo solo ….…
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