Il danno da calunnia deriva dalla lesione dell’onore e della reputazione di una persona, che viene falsamente incolpata, davanti alle autorità giudiziarie (o altre autorità che abbiano obbligo di riferire all’autorità giudiziaria) di un fatto che corrisponda ad un reato.
Affinché si consumi la calunnia, occorre che l’accusa sia rivolta ad una persona che il calunniatore sa essere innocente.
Riprendendo la Calunnia di Sandro Botticelli, il periodo storico vissuto dal noto pittore è indicativo delle conseguenze pregiudizievoli di tutti coloro i quali vengono travolti dall’infamante accusa di calunnia.
Stando ad un’autorevole interpretazione del dipinto (enigmatico e dai plurimi significati), il predicatore Girolamo Savonarola veniva indicato come la parte accusatrice delle opere realizzate dall’artista fiorentino, perché figlie di un’arte profana, leggiadra, un po’ lasciva, che veniva molto biasimata dal vento moralizzatore di tutti i seguaci di Savonarola.
In quel tempo si appiccavano roghi “delle vanità”, mandando al bando le vesti pregiate, le suppellettili costose e tutti i lussuriosi oggetti di svago e d’arte, propri della ricca nobiltà del tempo.
E Botticelli senz’altro sentiva viva, in cuor suo, la lesione alla propria reputazione, al proprio onore, alla propria moralità ed umanità.
Parlo della tematica in questo mio video, inserito sul mio canale YouTube:
In questa sede sento il dovere di approfondire il tema delle calunnie consumate nell’ambito familiare.
Secondo un’indagine pubblicata a questo link da Telefono Azzurro in collaborazione con Doxa Kids, le violenze su bambini e adolescenti sono sempre più diffuse, anche perchè rese ancor più accentuate dai rischi collegati con l’utilizzo delle tecnologie e dalla crisi economica.
Quando, però, un padre, uno zio, un parente viene ingiustamente accusato di un reato tanto atroce, quanto inesistente, perché frutto dell’invenzione del soggetto denunciante (per lo più la ex compagna o ex moglie), s’impone il risarcimento per la grave calunnia patita.
Esemplare, a tal riguardo, è la vicenda oggetto della pronuncia resa dalla Sezione Terza Civile della Cassazione nel 2016, rubricata al numero 5958.
In questa fattispecie non era un padre separato ad agire civilmente, per ottenere il risarcimento dei danni subiti, bensì la figlia presuntivamente “molestata”, perché anch’ella lesa nella propria dignità e nel proprio onore, in conseguenza di una querela sporta in via anonima da uno zio, che riferiva di presunti abusi sessuali sulla ragazza, al tempo minorenne, ad opera del di lei padre.
Più in particolare, lo zio inviò alle pubbliche autorità uno scritto anonimo, significando appunto che il padre della giovane avrebbe compiuto violenza sessuale sulla minore.
All’attenzione dei Supremi Giudici venivano posti l’abusivo invio dello scritto anonimo (all’interno del quale, con dovizia di dettagli scabrosi, veniva descritto l’atteggiamento abusante del padre nei confronti della figlia), l’individuazione del suo autore (appunto, lo zio, che mai negava la paternità dell’infamante denuncia), lo svolgimento di traumatiche indagini penali a carico del padre (alle quali era stato dato ampio spazio mediatico), lo stato di prostrazione e di costernazione della ragazza di fronte alle accuse inveritiere, la falsità della denuncia e, appunto, la lesione del diritto all’onore della giovane, con il danno morale conseguente.
Va precisato che non essendo la giovane il soggetto passivo della calunnia formalizzata dallo zio, il danno vantato davanti al giudice civile era quello più generico all’onore ed alla reputazione, perché fortemente lesivo della sfera privata della danneggiata.
Per questo, anche se lo zio veniva assolto dal reato di calunnia, non venivano certo meno il discredito e la dequalificazione personale, purtroppo patiti dalla ragazza, in ragione della condotta infamante posta in essere dal di lei parente.
Così precisava la Suprema Corte, in un passo contenuto nella parte motiva della Sentenza qui commentata:
La lettera anonima con la quale, con affermazioni non veritiere e con dovizia di scabrosi particolari, si accusi di abusi sessuali un padre nei confronti della figlia minorenne, può essere fonte di responsabilità per danni a carico del denunciante, ai sensi dell’art. 2043 cod. civ., ed a favore di colei che sia stata indicata come vittima del reato, anche quando sia stato escluso il reato di calunnia per il denunciante.
Ed invero, in presenza dell’elemento soggettivo della colpa, se il contenuto della missiva e la sua diffusione, nonché lo svolgimento delle indagini penali coinvolgenti, oltre che il presunto autore, anche la presunta vittima (quale persona offesa), provocano la lesione della sfera personale di quest’ultima, si è in presenza di danno ingiusto risarcibile ai sensi dell’art. 2043 cod. civ.
Si tratta di un danno “endofamiliare”, per quanto scollegato dalla richiesta risarcitoria per danno da calunnia (che solo sarebbe stata astrattamente esperibile dal padre della ragazza).
Vengono coinvolte, infatti, lesioni lamentate dal soggetto colpevolmente coinvolto in indagini penali originate da una denuncia; ed è proprio questa originaria denuncia che, sia per l’infondatezza delle accuse, sia per il tenore dello scritto diffamatorio, scabroso e gravemente offensivo per la vittima, si pone essa stessa come fonte di danno.
In tal senso, i Supremi Giudici evidenziano che già la Corte d’Appello aveva dato conto della mancanza assoluta di continenza dello scritto anonimo promanante dallo zio della giovane, in quanto, oltre ad accusare di ignobili reati, descriveva con dovizia di particolari i dettagli più scabrosi e proseguiva attribuendo fatti ed epiteti ingiuriosi ad entrambi i genitori della minore, che vi risultava ampiamente coinvolta, con ciò evidenziando la portata offensiva dello scritto, oltre che la accertata non veridicità delle accuse.
Per tali ragioni, veniva giustamente confermata la condanna risarcitoria in sede civile, ai danni del soggetto denunciante.
Sia doverosa una precisazione: nella fattispecie oggetto della Sentenza dei Supremi Giudici, laddove la parte richiedente il risarcimento fosse stato il padre accusato di abusi e non la figlia presuntivamente abusata, la domanda sarebbe stata rigettata.
Ciò in quanto effettivamente lo zio venne assolto all’esito del giudizio che lo vedeva accusato di calunnia.
Come ho avuto modo di evidenziare anche nel mio video, difettando l’accertamento circa la penale sussistenza del reato di calunnia, nessun ristoro patrimoniale in sede civile può derivare in capo al soggetto ritenutosi “calunniato”, pur vittima di un’accusa non veritiera.
S’impone dunque la massima attenzione, al fine di verificare, caso per caso, i margini per la risarcibilità del danno rivendicato nei confronti dell’abusivo accusatore.
Rivolgersi con sollecitudine al proprio avvocato di fiducia per un attento esame dell’intera fattispecie, è la prima condotta volta a tutelare al meglio i propri diritti.
Un secondo solo …….
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